giovedì 9 gennaio 2014
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La definisce una «bozza aperta» Matteo Renzi. E in effetti quella lanciata ieri sera dal segretario Pd come anticipazione del suo Job Act, è poco più di un elencazione di titoli, ancora da definire in molti (decisivi) particolari.Si parla di incentivare l’impresa, di investimento in sei settori strategici, di semplificazione, riduzione del 10% del costo dell’energia, di taglio dell’Irap e di aumento delle tasse sulle rendite finanziarie. In particolare, sul lavoro si prevede l’estensione di un sussidio a tutti i lavoratori, con obbligo però di formazione e di accettazione di offerte di lavoro. Prevista anche un’agenzia federale per i centri per l’impiego (alla quale in verità sta già lavorando il governo). Ancora, una legge sulla rappresentanza sindacale e l’ingresso dei rappresentanti eletti nei Cda delle imprese, rapporti a termine per i dirigenti pubblici. «Non è il momento delle ideologie», dice Renzi, «mettiamoci sotto a lavorare». Intanto però resta molto vago sul nodo vero che scuote il partito: il contratto unico e l’eventuale limitazione dell’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Nella bozza lanciata ieri si parla infatti prudentemente di «Processo verso un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti», evitando dunque di prendere una posizione netta.L’idea sembra ricalcare quella elaborata dal giuslavorista e senatore di Sc Pietro Ichino, nella scorsa legislatura parlamentare Pd, che non a caso aveva trovato proprio in Renzi uno dei (pochi) sostenitori. In questa ipotesi – che dovrebbe essere ufficialmente rilanciata oggi da Scelta civica – si parla di un contratto a "protezione crescente". L’idea è quella di un rapporto di lavoro che nel primo triennio possa essere sciolto con un costo di separazione predeterminato, per esempio un indennizzo pari a un mese per ogni anno di anzianità, senza complicazioni giudiziarie. Dopo il primo triennio la tutela del lavoratore cresce, ma resta sempre insindacabile la scelta dell’impresa di licenziare il lavoratore. Niente reintegro, insomma, se non in caso di discriminazioni. Piuttosto, aumenta il costo della fine del rapporto di lavoro, con maggiori oneri per l’impresa che vanno da un lato a irrobustire l’indennità di disoccupazione per il dipendente senza più posto e dall’altro a finanziare programmi personalizzati di ricollocamento. Più in generale, c’è il progetto di semplificazione del diritto del lavoro, da "riassumere" in un Codice unico di «appena 70 articoli, leggibili anche da un quindicenne e facilmente traducibili in inglese», come ha spiegato lo stesso Ichino.Sul fronte del centrodestra, invece, il contratto unico è apertamente osteggiato. In questo caso Nuovo centodestra, Forza Italia e Lega sono d’accordo. Propongono in alternativa la sostanziale abolizione della riforma Fornero «che ha prodotto solo danni», il ritorno alla piena applicazione della Legge Biagi e, come approdo finale, un nuovo "Statuto dei lavori" basato su due pilastri: diritti di base uguali per tutti, massimo spazio e potere regolatorio alla contrattazione in chiave sussidiaria.
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