mercoledì 11 maggio 2022
Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro un inasprimento del conflitto rischia di provocare un effetto a catena nei paesi confinanti e in quelli dell'Asia Centrale che dipendono dalla Russia
L'acciaieria Azovstal a Mariupol, uno degli obiettivi economici della guerra

L'acciaieria Azovstal a Mariupol, uno degli obiettivi economici della guerra - Ansa

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L’economia ucraina è stata duramente colpita dalla guerra. Alcune stime provvisorie sostengono che il 50% delle imprese non sono operative, che le esportazioni sono state dimezzate con punte del 90% in meno per i prodotti più importanti come il grano. Il Pil dell’Ucraina subirà un forte calo nel 2022. Il Fondo Monetario Internazionale ha previsto una perdita nell’ordine del 25-35%, la Banca Mondiale del 45%. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro dall’inizio dell’invasione sono 4,8 milioni i posti di lavoro stati persi. Secondo l’analisi dell’Oil, un ulteriore inasprimento delle ostilità potrebbe provocare un ulteriore aumento delle perdite di lavoro che coinvolgerebbe 7 milioni di persone. Una cessazione immediata delle ostilità potrebbe portare ad una rapida ripresa dell’occupazione con il ripristino del lavoro per 3,4 milioni di persone, riducendo la perdita occupazionale complessiva all’8,9%.

Dall’inizio del conflitto il 24 febbraio, più di 5,23 milioni di rifugiati sono scappati nei paesi vicini. Del totale dei rifugiati, circa 2,75 milioni sono in età lavorativa. Di questi, il 43,5% (o 1,2 milioni) ha lasciato il lavoro e la professione che svolgeva prima del conflitto.

La crisi in Ucraina può anche produrre una destabilizzazione del mercato del lavoro dei paesi vicini, soprattutto l’Ungheria, la Moldavia, la Polonia, la Romania e la Slovacchia. Il prosieguo delle ostilità costringerebbe i rifugiati a rimanere in esilio più a lungo, creando ulteriori pressioni sul mercato del lavoro e sui sistemi di protezione sociale e innalzando i livelli di disoccupazione in molti dei paesi limitrofi al territorio ucraino. Effetti a catena sui paesi della regione dell’Asia centrale, in particolare su quelli le cui economie dipendono fortemente dalle rimesse dei lavoratori emigrati nella Federazione Russa, come Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Questi quattro i paesi sono tra i primi dieci in termini di presenza numerica di migranti nella Federazione Russa. Molti lavoratori migranti inviano una quota significativa dei loro redditi come rimesse ai paesi di origine.

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