sabato 5 febbraio 2022
Falck Renewables è tra i campioni nazionali della transizione energetica. L'amministratore delegato Toni Volpe: se non si semplificano i processi impossibile centrare gli obiettivi 2030
Toni Volpe, amministratore delegato Falck Renewables

Toni Volpe, amministratore delegato Falck Renewables - Falck Renewables

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«Oggi per realizzare un nuovo impianto eolico in Italia ci vogliono 7-8 anni, 6 quando si è fortunati. Per un impianto fotovoltaico occorrono 3-4 anni. Noi speriamo che si possa arrivare a ottenere l’autorizzazione in un anno per l’eolico e in 6 mesi per il solare. Altrimenti sarà molto difficile centrare gli obiettivi di decarbonizzazione». Toni Volpe è amministratore delegato di Falck Renewables, che con i suoi 1.370 MW di capacità rinnovabile installata tra Italia, Regno Unito, Spagna, Francia, Norvegia, Svezia (e una significativa presenza negli Stati Uniti) è uno dei campioni nazionali della transizione energetica.
Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza ci sono 24 miliardi di euro per transizione energetica e mobilità sostenibile. Sono risorse sufficienti?
Le risorse messe a disposizione dall’Italia, così come quelle stanziate dall’Europa con il Next Generation EU, sono una piccola parte di quanto necessario per raggiungere gli obiettivi al 2050. Se ben gestite potranno rafforzare le infrastrutture e le competenze, ma l’aspetto fondamentale è che possano accelerare e catalizzare ulteriori investimenti. Per noi è più un tema di qualità che di quantità: l’elemento più importante sono le riforme previste, che sono il fattore indispensabile per favorire gli investimenti necessari.
C’è ancora troppa burocrazia per sviluppare nuovi progetti di eolico e fotovoltaico?
Vedremo in queste settimane che meccanismi operativi sta mettendo in piedi la Pubblica amministrazione. Ci sono stati passi avanti sui processi autorizzativi per lo sviluppo dei progetti, ma non hanno risolto in maniera fondamentale i problemi. Vale per l’Italia ma nel resto d’Europa la situazione non è migliore. Serve una semplificazione dei processi per le autorizzazioni, occorre ridurre i passaggi da superare per il via libera su progetti molto semplici e con un impatto ambientale molto basso. Le amministrazioni pubbliche dovrebbero avere tempi vincolanti da rispettare.
State avviando in Puglia e in Calabria i primi progetti di eolico marini, le pale in alto mare considerata una delle tecnologie più promettenti. Qual è il potenziale dell’Italia in questo settore?
Secondo le nostre stime in Italia si potrebbero installare 10-20 GW di potenza rinnovabile con l’eolico marino. Ci stiamo dedicando a questa tecnologia perché ha un impatto ambientale complessivo più basso dell’eolico a terra. Le pale stanno su piattaforme galleggianti, ancorate al sottosuolo. Sulla costa l’unico impatto è la costruzione di una stazione elettrica. Anche l’impatto visivo è limitato, le pale stanno a 10-30 chilometri dalla riva. L’impatto sull’ambiente marino va analizzato caso per caso, ma può anche avere effetti positivi sulla fauna. Infine c’è l’aspetto importante della forte ricaduta sul territorio: la filiera produttiva dell’eolico è europea, la costruzione e il mantenimento degli impianti sviluppa una filiera locale che coinvolge porti e aziende. Un impianto eolico marino genera circa 1500 posti di lavoro diretti nel medio-lungo termine (4000 nei periodi di massima necessità), e, dopo l’entrata in esercizio, circa 150 posti per la manutenzione (di cui l’80% da risorse locali).
L’altro ambito su cui sta investendo è l’agrivoltaico…
Sì, agrivoltaico oggi è un termine un po’ abusato, il governo sta lavorando a darne una definizione. Per noi significa fare investimenti “binari” in elettricità verde e agricoltura, per portare al rilancio sostenibile di territori agricoli sottoutilizzati. C’è polemica su questo tema, noi facciamo presente che la superficie agricola che si può dedicare alla produzione di energia con il fotovoltaico è molta meno di quella che ogni anno viene abbandonata. Ragioniamo con gli agronomi, le università e i proprietari dei terreni su qual è la soluzione migliore per tutti, in questo ambito crediamo che un’eccessiva regolazione sia dannosa anche per la diversità di soluzioni che possono essere implementate: ulivi, pastorizia, apicoltura…
Ha preso alla sprovvista anche voi l’impennata dei prezzi dell’elettricità?
Rialzi così forti non li aveva previsti nessuno. Per noi la corsa dei prezzi rivela due cose. La prima, risaputa, è l’eccessiva dipendenza energetica dal gas naturale e da chi ce lo fornisce. Dall’altra il fatto che l’attuale sistema elettrico europeo non è ancora strutturato per avere una forte presenza di fonti rinnovabili. Deve essere ripensato il mercato elettrico, che non va più bene, ma dalla Commissione europea non vediamo un lavoro sufficiente in questo senso.
La tassazione degli extra-profitti e l’inclusione di nucleare e gas nella tassonomia europea sono cattive notizie per un’azienda come la vostra?
La prima sicuramente. Comprendiamo le esigenze e il punto di vista del governo ma la soluzione trovata non è quella corretta. In molti casi gli extra-profitti non ci sono, perché i contratti sono a prezzo fisso e a lungo termine, e inoltre i soggetti che hanno guadagni superiori al previsto sono diversi, ci sono i trader sui derivati, anche chi fa energia da fonti termiche… Se si vuole il mercato poi bisogna starci. Tasse come questa avranno un impatto sui nuovi progetti da costruire: il cambio in corsa delle regole scoraggia gli investimenti e rallenta i piani. La tassonomia europea invece non cambia molto. Gli investitori hanno già i loro criteri per capire se un investimento è green o meno, l’etichetta dell’Unione europea ha un valore relativo.

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