martedì 13 dicembre 2022
Viaggio nelle città sede di petrolchimici e terminal di gas naturale liquefatto. Gli attivisti: «La gente va via o rischia di ammalarsi». In aumento i problemi di sicurezza e gli eventi meteo estremi
Flaring a Sabine Pass, in Texas

Flaring a Sabine Pass, in Texas - Carlo Dojimi di Delupis

COMMENTA E CONDIVIDI

“Siamo nel ventre della bestia”. Così definisce Port Arthur, la città simbolo del comparto fossile texano, John Beard, attivista, uomo politico e fondatore del Port Arthur Community Action Network. E non ha torto. Petrolchimici, due raffinerie divise solo da un lembo di strada – qualcosa che nelle nostre peregrinazioni in giro per il globo non avevamo mai visto – e altre industrie pesanti, il tutto concentrato in pochi chilometri quadrati. “Ciliegina sulla torta”, Port Arthur è a metà strada tra i due più grandi e produttivi terminal di gas naturale liquefatto (GNL) degli Stati uniti: Sabine Pass e Freeport, al 2021 rispettivamente circa 35 miliardi e 19 miliardi di metri cubi di GNL esportato.

D'altronde il Texas ha fondato gran parte del proprio sviluppo sull’industria dei combustibili fossili, da cui dipende ancora fortemente. Nel 2021 è stato il più grande produttore di petrolio (43%) e gas naturale (25%) degli Usa, per lo più provenienti dal Golfo del Messico e dal Bacino Permiano, dove si trova un quarto delle riserve di idrocarburi del Paese. Eppure a Port Arthur “c'è tanta povertà, la gente va via oppure rischia di ammalarsi, tanto che qui l'incidenza dei casi di cancro è il doppio rispetto alla media del Texas”, lamenta Beard.

L'attivista John Beard, fondatore del Port Arthur Community Action Network

L'attivista John Beard, fondatore del Port Arthur Community Action Network - Carlo Dojimi di Delupis

La presenza costante di flaring dalle tre enormi torri di Sabine Pass sembrerebbe dare un triste senso alle parole dell'attivista. Il terminal è una sorta di città nella città, tanto è mastodontica. A gestirlo è la Cheniere Energy, società che esporta il 50% del GNL statunitense e con la quale l'italiana Snam è saldamente in affari.

Il terminal di Freeport, un'ora di macchina sia da Port Arthur che da Houston, di poco inferiore a Sabine Pass per volumi di produzione, con la guerra in Ucraina ha visto rapidamente cambiare i suoi “beneficiari”. Se prima il 70% del gas andava in Asia, ora fino al 65% arriva in Europa. In realtà parliamo dei carichi spediti fino allo scorso 8 giugno, quando una gigantesca esplosione causata da un errore umano ha bloccato del tutto la centrale. “Alcune persone che stavano nella spiagge vicine sono rimaste ferite, mentre non sappiamo nulla su chi era di turno nell'impianto. Certo è che di problemi sulla sicurezza ce ne sono stati molteplici, tanto che le autorità competenti avevano già comminato sanzioni pecuniarie contro i gestori di Freeport LNG”, ci spiega Melanie Oldham del locale gruppo Citizens for Clean Air & Clean Water in Brazoria County. Poi, come aggiunge la Oldham, bisogna fare i conti con gli eventi climatici estremi, che anche qui non mancano. Insomma, Freeport è una sorta di bomba a orologeria e per il momento di riapertura non se ne parla. In termini di export del gas parliamo di circa il 20% in meno per l'export statunitense. Un danno considerevole, stimabile fra i 6 e gli 8 miliardi di dollari, soprattutto per chi il gas lo vende. Il giorno dopo lo stop di Freeport, infatti, il prezzo del gas per i cittadini americani è diminuito del 12%. A dimostrazione di come il mercato della risorsa fossile sia totalmente fuori controllo e condizionato da logiche speculative e interessi di pochi.

Pescatori vicino ai terminal

Pescatori vicino ai terminal - Carlo Dojimi di Delupis

In passato anche Sabine Pass si è dovuto fermare, ma per colpa dei danni provocati dagli uragani, che anche in questa parte di costa che si affaccia sul Golfo del Messico provocano sempre più spesso tremende devastazioni. Salta allora agli occhi il paradosso che gli impianti e le attività estrattive che provocano la crisi climatica siano messe in difficoltà da fenomeni estremi la cui frequenza è in crescita esponenziale. Un fatto sui cui dovrebbero ragionare le banche e istituzioni finanziarie che sostengono questi progetti e le società che li promuovono. Come Intesa Sanpaolo, l'istituto di credito più importante d'Italia.

Una raffineria a Port Arthur

Una raffineria a Port Arthur - Carlo Dojimi di Delupis

Dal 2016 al 2021, Intesa Sanpaolo ha finanziato con 1,8 miliardi di dollari tutte quelle società che gestiscono i terminal LNG esistenti sulla Costa del Golfo e ne stanno pianificando l’espansione. Circa la metà, 882 milioni di dollari, solamente a Cheniere Energy, mentre 411 milioni sono andati a Freeport LNG. Il 40% dei finanziamenti è concentrato nel biennio 2020-2021, lo stesso biennio in cui è raddoppiata la capacità di esportazione dei terminal LNG statunitensi. Perciò la Oldham chiede “alle banche come Intesa di venire a vedere che cosa vuol dire lo sfruttamento del gas nel mio territorio, perché con i loro finanziamenti stanno firmando la nostra condanna a morte”.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI