Salario minimo, tra contrattazione e produttività

In Italia il dibattito sugli stipendi dignitosi riconosciuti dalla stessa Costituzione è condizionato dall'applicazione dei Ccnl. L'opinione degli esperti
December 26, 2025
Salario minimo, tra contrattazione e produttività
Una busta paga / ANSA
Il salario minimo è un tema cruciale nell’ambito del diritto del lavoro in Italia. Fino a oggi la retribuzione minima viene determinata in via indiretta attraverso la contrattazione collettiva dei sindacati rappresentativi. La mancanza di una legge nazionale specifica ha aperto la strada, nel tempo, a numerose discussioni e tentativi di iniziativa sia a livello parlamentare che regionale. La decisione della Corte Costituzionale si inserisce proprio in questo quadro, rispondendo a una questione di legittimità sollevata dal Governo circa la competenza della Regione Puglia nell’introduzione di un salario minimo regionale per i lavoratori impegnati negli appalti pubblici. Con la sua sentenza, la Consulta respinge le motivazioni dell’esecutivo, confermando pienamente la legittimità della legge pugliese e riconoscendo alle Regioni una sfera di competenza in materia.
Purtroppo nel nostro Paese il dibattito sul salario minimo è condizionato da una peculiarità che caratterizza il nostro ordinamento, consistente nel fatto di non prevedere una soglia legale uniforme e di affidare la tutela retributiva alla contrattazione collettiva nazionale, che copre la stragrande maggioranza dei lavoratori impiegati con regolare contratto di lavoro. «Tuttavia, per quanto i Ccnl fissino minimi tabellari e garantiscano diritti fondamentali, la loro capacità di assicurare una retribuzione “proporzionata e sufficiente”, come impone l’art. 36 della nostra Costituzione è duramente messa alla prova dai fenomeni inflattivi registrati nel corso degli anni e dalla frammentazione contrattuale - spiega l'avvocato Fabrizio Morelli Partner Responsabile Dipartimento Diritto del Lavoro DLA Piper Italia -. La proliferazione di contratti sottoscritti da soggetti poco rappresentativi ha inoltre alimentato il fenomeno dei contratti pirata, fissando minimi retributivi inferiori agli standard di settore. In tale contesto, non può non rilevarsi come uno strumento che possa rendere gli stipendi più "dignitosi" e idonei a soddisfare quell'esigenza di proporzionalità e sufficienza sancita inderogabilmente dalla Costituzione sia rappresentato dalla contrattazione di secondo livello, territoriale o aziendale, che consente di integrare i minimi nazionali con elementi variabili legati alla produttività, welfare e alla flessibilità organizzativa. I premi di risultato, in particolare, spesso accompagnati da agevolazioni fiscali e possibilità di conversione in welfare, svolgono una duplice funzione incentivante e redistributiva, collegando parte della retribuzione agli obiettivi di efficienza e competitività e permettendo ai lavoratori di partecipare e condividere i successi economici dell’impresa. È evidente che questi strumenti fatichino a decollare, restando per lo più confinati a una minoranza di imprese, soprattutto medio-grandi del Nentro-nord Italia, vuoi per la difficoltà di molte realtà imprenditoriali di attivare un dialogo negoziale che non sia percepito come burocratico o conflittuale, vuoi per la mancanza di competenze e risorse necessarie a definire obiettivi e sistemi premianti, vuoi per l'applicazione in molte imprese, soprattutto pmi, di modelli gestionali che riducono il ruolo del sindacato. La vera sfida non sarà dunque quella di fissare un numero, ma costruire un sistema idoneo a premiare il lavoro e la produttività, coniugando flessibilità, competitività e giustizia sociale e ad assicurare a ciascun lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa».
«Dopo anni di muro contro muro sulla proposta di un salario minimo orario fissato per legge oggi sta prevalendo un’idea diversa su come far aumentare le retribuzioni: serve un piano più ampio, che rafforzi la contrattazione collettiva e contrasti gli abusi e il lavoro sottopagato. Con la legge delega, il Parlamento ha fatto propria la proposta del Cnel di due anni fa, indicando l’obiettivo prioritario: garantire la massima trasparenza dei salari, settore per settore, per colpire lavoro irregolare, evasione contributiva e concorrenza sleale. In quest'ottica, abbiamo compiuto una vasta opera di riorganizzazione dell’archivio dei contratti collettivi del Cnel al fine di renderlo il perno e lo strumento di garanzia per assicurare una fotografia oggettiva dei salari, delle condizioni di lavoro, dei contratti maggiormente diffusi e applicati. Questa operazione di trasparenza proseguirà nei prossimi mesi e sarà così possibile verificare la diffusione effettiva dei contratti collettivi. E sarà anche possibile conoscere i trattamenti previsti per i lavoratori». Così il presidente del Cnel Renato Brunetta.
Per Gian Piero Gogliettino, economista del lavoro, cultore della materia in diritto del lavoro all'Università Ca’Foscari, la scelta intrapresa dal Parlamento di fissare i principi in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva, è «certamente condivisibile e lodevole in ragione della necessità, oramai improcrastinabile, di osteggiare fenomeni deplorevoli come il lavoro povero, le disuguaglianze salariali spesso collegate alla proliferazione dei contratti collettivi, lo sfruttamento del lavoro, riscontrabile soprattutto nelle filiere degli appalti». «Si tratta di un'operazione parlamentare che, di fatto, punta a recepire la filosofia sottesa alla norma europea in materia di salari minimi che, recentemente, ha superato sostanzialmente il vaglio di legittimità da parte della Corte di giustizia europea, intervenuta su istanza della Danimarca che ne chiedeva l’abrogazione in quanto lesiva delle prerogative degli Stati membri - sottolinea l'economista del lavoro, cultore della materia in diritto del lavoro -. È opinione comune la circostanza, come ha avuto modo di evocare in più occasioni anche il presidente Mattarella, che in uno Stato moderno non basta solo creare le condizioni per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, ma diventa strategica e centrale la necessita di assicurare un lavoro sicuro, di qualità, equamente retribuito, tale da favorire il rispetto e il progresso della persona umana del lavoratore. Un Paese liberale e riformista ha, quindi, il dovere di affermare e garantire, con convinzione, la dignità del lavoro perché solo attraverso tale processo il cittadino vede realizzare la sua libertà e la sua fisiologica crescita professionale, il posizionamento nella comunità più affine alle proprie capacità, favorendo così lo sviluppo economico e sociale. Dignità del lavoro, quale traguardo di civiltà giuridica e di giustizia sociale, che trova realizzazione nella definizione di condizioni eque e, dunque, anche di un salario giusto. Del resto, è la nostra stessa Carta costituzionale a stabilirlo, laddove puntualizza che il corrispettivo del lavoro deve essere non solo proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro, ma anche in grado di assicurare al lavoratore e alla sua famiglia, in funzione pure della sua portata sociale, una vita libera e dignitosa. Le conseguenze virtuose di un simile paradigma giuridico sono il diffondersi di stili di vita diversificati e di un aumento della produttività, tant’è che un investimento sui salari può in parte contrastare la caduta del loro potere di acquisto e generare maggiore impegno ed efficienza, incidendo positivamente sulla domanda aggregata e sulle performance produttive. Produttività che va anche sostenuta dallo Stato, compensando così lo sforzo salariale delle imprese, attraverso politiche che prevedano la riduzione della pressione fiscale e incentivi a sostegno della ricerca, dello sviluppo e degli investimenti in tecnologie, nonché una semplificazione dei processi amministrativi pure riguardo all’accesso ai fondi per la formazione dei lavoratori, indirizzando le risorse soprattutto verso quelle attività lavorative richieste dal mercato del lavoro. Vero è però, per quanto condivisibile il metodo sotteso alla legge delega, calibrato sulla valorizzazione della contrattazione collettiva di maggiore applicazione, lo stesso non risolve la criticità oggi esistente sul piano della certezza del diritto restando, la retribuzione contrattuale, un semplice parametro esterno di riferimento, ben potendo la magistratura – su istanza del lavoratore - rideterminarla laddove la consideri non equa.   Se davvero si vuole dare una risposta compiuta, diventa necessario assegnare efficacia obbligatoria ai contratti collettivi, il che può realizzarsi solo attraverso una legge sulla rappresentanza sindacale, tale da restituire esclusivamente alle parti sociali qualificate il ruolo di autorità salariale».
 

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