martedì 30 novembre 2021
Gli investimenti legati al Pnrr potrebbero ridurre il divario territoriale che la pandemia ha acuito. Nel 2021 il Pil crescerà del 5% rispetto al 6,8% del resto d'Italia
La ripresa al Sud stenta a decollare

La ripresa al Sud stenta a decollare - Ansa

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La premessa è che il rimbalzo dell’economia è meno consistente al Sud, come del resto era prevedibile, la buona notizia è che, se si spenderanno in maniera intelligente le risorse del Pnrr (il 40% delle quali dedicato al Mezzogiorno), il divario territoriale dovrebbe ridursi, consentendo al Paese di crescere di più. Il rapporto Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) presentato oggi a Roma stima una crescita del 12,4% del Pil al Sud (15,6% per il Centro-Nord) da qui al 2024 ma accende anche i riflettori sugli effetti collaterali della pandemia. Il Mezzogiorno appare appare meno reattivo in questa fase di ripresa e più lento a rispondere agli stimoli di una domanda che è legata soprattutto a due fattori: le esportazioni e gli investimenti. Per il 2021 si prevede una crescita del Pil del 5%, mentre nel Centro Nord la percentuale sale al 6,8%. Un gap che dovrebbe quasi ridursi nel 2022, con le stime che indicano una crescita del 4% per il Sud e del 4,2% per il resto del Paese.

Nel quadriennio l'impatto relativamente maggiore delle manovre di finanza pubblica e del Pnrr al Sud rispetto al Centro-Nord, «dovrebbe impedire al divario di riaprisi» si legge nel rapporto. Affermazione seguita però da una lunga serie di doverose precisazioni. La debolezza dei consumi, conseguente alla dinamica salariale piatta (15,3% di dipendenti con bassa paga rispetto all’8,4% in quelle centro settentrionali), al basso tasso di occupazione e all'eccessiva flessibilità del mercato del lavoro meridionale con il ricorso al tempo determinato per quasi 920 mila lavoratori (22,3% rispetto al 15,1% al Centro-Nord) e al part time involontario (79,9% al Sud contro 59,3% al Centro-Nord), sono tutti fattori che secondo l’associazione, frenano la crescita.A pesare anche il progressivo spopolamento delle regioni meridionali con i giovani che si spostano per cercare lavoro.

Complessivamente nel periodo 2002/2020 sono emigrate più di un milione di persone, di cui circa il 30% laureati. La pandemia ha fatto aumentare le diseguaglianze. Al Sud la povertà assoluta è più elevata con un'incidenza del 9,4% fra le famiglie (era l'8,6% nel 2019). La presenza di minori incide in misura significativa sulla condizione di povertà: nel Mezzogiorno il 13,2% delle famiglie in cui è presente almeno un figlio minore sono povere, contro l'11,5% della media nazionale. Il lavoro rimane la prima emergenza. Dopo lo sblocco dei primi licenziamenti da fine giugno, sono stati circa 10.000 coloro che hanno perso il lavoro, di cui il 46% concentrato nelle regioni meridionali.

Un fenomeno preoccupante è quello delle donne Neet che non lavorano e non studiano. Sono 900mila, con valori intorno al 40% rispetto al 17% della media europea. Il tasso di occupazione delle 20-34enni laureate da 1 a 3 anni è appena il 44% nel Mezzogiorno a fronte di valori superiori al 70% nel Centro-Nord. Rispetto al secondo trimestre 2019, l'occupazione femminile nel Sud si è ridotta di circa 120mila unità nel 2021, (-5%, contro -3,3% del Centro-Nord).

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