giovedì 29 febbraio 2024
Dara Khosrowshahi potrà sfruttare il meccanismo delle stock options grazie all'impennata in Borsa della società
Il numero uno di Uber Dara Khosrowshahi

Il numero uno di Uber Dara Khosrowshahi - Ansa

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Vi piacerebbe poter comprare delle azioni, una montagna di azioni, a 33 dollari ciascuna, sapendo che sul mercato potreste rivenderle un attimo dopo già a 77 dollari, ricavandone una fortuna? Se vi chiamaste Dara Khosrowshahi, nome complicato da pronunciare ma vi basti sapere che è il numero uno di Uber, potreste farlo subito. Spendendo fino a 59 milioni di dollari (e con il suo stipendio potrebbe permetterselo), il ceo di Uber avrebbe in mano azioni pari all’attuale valore di 135 milioni. Il buon Khosrowshahi sfrutterebbe così il meccanismo delle stock options, strumento con il quale le aziende attirano i top manager, tanto da essere abbastanza diffuso ai livelli gerarchicamente superiori degli organigrammi aziendali, soprattutto nel comparto del Big Tech. Come funziona? Detto in maniera semplice, l’azienda riserva al manager la possibilità di acquistare un certo numero di azioni ad un prezzo pre-determinato e per un periodo di tempo prefissato, nella gran parte dei casi al raggiungimento di alcuni obiettivi aziendali. Obiettivi che Khosrowshahi ha raggiunto proprio nelle ultime settimane in cui il valore di Uber ha raggiunto un valore di 120 miliardi di dollari grazie all’impennata delle sue azioni, volate anche oltre gli 80 dollari rispetto ai 24 dollari del dicembre 2022, appena quattordici mesi fa.

A lungo, sottolinea anche il Financial Times, è sembrato improbabile che l’obiettivo del super-bonus, fissato prima della quotazione in Borsa di Uber avvenuta nel 2019, potesse essere raggiunto, considerate le perdite di decine di miliardi di dollari accumulate dalla piattaforma. Per anni le azioni di Uber sono state scambiate intorno ai 45 dollari, per una capitalizzazione di circa 82 miliardi. I recenti risultati della società hanno invece garantito un +150% negli ultimi dodici mesi. Com’è stato possibile? Khosrowshahi ha tagliato i costi per aumentare i margini, ha abbandonato attività non strategiche come i veicoli autonomi e ha trovato ricavi in nuove aree come la pubblicità.

A inizio febbraio, dopo aver annunciato il suo primo anno di profitti operativi, Uber ha quindi reso noto il suo primo buyback, il riacquisto delle sue stesse azioni, per un totale di 7 miliardi di dollari, operazione che ha spinto ancora di più il titolo di oltre il 14% e resasi probabilmente necessaria proprio per procurarsi le azioni necessarie a remunerare sia il ceo che altri due top manager, certo determinanti anche in questa scelta. A mangiarsi le mani, ora, sono altri tre top manager che avevano invece lasciato Uber negli ultimi anni e che avevano in mano oltre 2 milioni di stock options, legate, oltre gli obiettivi aziendali, alla loro permanenza nella società.

Khosrowshahi è stato reclutato da Uber nel 2017: all’epoca, quando lavorava per Expedia, era il ceo più pagato tra quelli delle società quotate nell’indice S&P 500. Lasciando Expedia, aveva rinunciato a stock options valevoli potenzialmente 160 milioni di dollari e per questo Uber gli aveva prospettato un nuovo super-bonus. Allo stesso modo, il ceo di Alphabet Sundar Pichai ha visto salire il suo stipendio a 226 milioni nel 2022 proprio grazie a un bonus in azioni, mentre Andy Jassy di Amazon ha ricevuto 200 milioni in azioni da Amazon. L’ottimo momento per i supermanager del Big Tech coincide peraltro con un’ondata di scioperi annunciati negli Usa e in Gran Bretagna dai lavoratori del settore delivery, che chiedono ai vari Uber, Just Eat, Deliveroo e DoorDash di avere salari più alti e una maggiore trasparenza nelle condizioni di lavoro.

Dal canto loro, le aziende puntano sempre di più sull'implementazione dell'intelligenza artificiale generativa per aumentare i margini, rendendo più efficienti alcune aree come l'assistenza clienti. Uber già ora dichiara che il numero dei suoi utenti è salito a 150 milioni, dai 45 milioni di sette anni fa, e si prepara a crescere molto anche in Paesi come Argentina e Giappone. La speranza è che anche per i diritti, in questi mercati come altrove, ci sia spazio come per i super-bonus.

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