sabato 10 giugno 2017
Dall'intuizione e il coraggio di tre ragazzi di Cuneo è nato un gruppo capace di raccogliere milioni di euro di investimenti e di imporsi nel mondo dei pagamenti via telefono
I fondatori di Satispay: da sinistra Dario Brignone, Samuele Pinta e Alberto Dalmasso

I fondatori di Satispay: da sinistra Dario Brignone, Samuele Pinta e Alberto Dalmasso

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Tre ragazzi nemmeno trentenni che lasciano posti ben pagati e a tempo indeterminato per scommettere tutto sulla loro idea. Una grande banca che ci crede e li accompagna. Investitori pronti a scommetterci qualche decina di milioni di euro. Quella di Satispay è una storia dalle caratteristiche davvero poco italiane. «In effetti sappiamo di essere un’eccezione» avverte il 33enne Alberto Dalmasso, l’imprenditore che assieme a Dario Brignone e Samuele Pinta nel 2013 ha fondato questa azienda che al momento rappresenta da sola praticamente tutto il mercato italiano dei pagamenti via smartphone nei negozi “reali”. Un mercato piccolo (circa 10 milioni di euro nel 2016) ma pronto a farsi enorme. Non a caso stanno cercando di entrarci in tanti, da ultimo il gigante Apple con il suo servizio Pay che ha appena debuttato anche in Italia.

Licenziarsi per lavorare su un'idea

I cuneesi Dalmasso e Brignone (Pinta si è unito poco dopo) hanno iniziato a ragionare sulla possibilità di creare un sistema di pagamenti via smartphone nel 2012, mentre facevano tutt’altro: il primo era Torino dove si occupava di marketing per una società di gestione del risparmio, il secondo faceva il consulente informatico per l’Eni in Kazakistan. L’intuizione arriva in un contesto di chiacchiere tra amici. «Ho una passione per la tecnologia e un conoscente mi ha suggerito di pensare a un sistema per pagare con lo smartphone basato sui bancomat. A una cena sento che Dario stava invece ragionando su una soluzione per fare arrivare via email le donazioni alle Onlus che oggi sono costrette a ricorrere ai bonifici. Ci abbiamo lavorato e abbiamo visto che si poteva costruire qualcosa a partire dai conti correnti» racconta il Dalmasso negli uffici milanesi di Satispay, dove oggi lavorano 55 ragazzi che presto diventeranno 70 (altri 8 sono nella sede di Londra).

Da quell’intuzione è iniziato un percorso di studio fatto di ricerche su Google, scoperta delle nuove direttive europee sui sistemi di pagamento e poi telefonate alle banche e all’Abi per raccogliere informazioni per capire come funzionava il sistema. Quindi il progetto preciso: sfruttare le possibilità offerta dalla Sepa, la direttiva che ha creato un’area unica europea dei pagamenti, per creare un istituto di moneta elettronica basato su addebiti a accrediti nei conti correnti. Siamo alla fine del 2012, i ragazzi si licenziano per essere liberi di lavorare a questa idea, raccolgono i loro risparmi, fanno un business plan e fanno sviluppare una prima piattaforma.

Le prime risorse

Gli amici e i parenti a cui chiedono di investire sul progetto ci credono: sessanta persone ci mettono 400mila euro. Sembra tanto ma è poco per chi vuole creare un nuovo istituto di moneta elettronica. Servono 850mila solo di patrimonio di vigilanza...

I soldi “veri” e l’alleato giusto arrivano poco dopo. Il primo giro di finanziamenti “sul mercato” porta 5 milioni di euro, sorprendendo gli stessi fondatori. Il finanziatore principale, a fianco di manager e imprenditori italiani e stranieri, è stato Iccrea, che ci ha messo 2,5 milioni. La collaborazione tra Satispay e l’Istituto centrale del credito cooperativo era naturale. Iccrea è una delle poche entità europee collegate direttamente al sistema interoperativo in tempo reale di crediti e debiti di Eba Clearing, la piattaforma su cui si muovono i capitali nel sistema bancario europeo. Questo status le permette di offrire a Satispay la possibilità di raccogliere tutti i pagamenti incassati da un esercente da conti correnti diversi e trasferirglieli con un unico bonifico per una spesa di circa un centesimo di euro.


130mila clienti e e 18mila negozi

Il costo irrisorio permette a Satispay di infilarsi negli spazi lasciati liberi dai tradizionali sistemi di pagamento elettronico come le carte di credito o i bancomat: le piccole spese quotidiane. Il cliente che usa Satispay non ha spese di iscrizione o abbonamento: si registra con l’Iban del suo conto corrente, dal quale trasferisce sulla app un “budget” di spesa settimanale, e può fare i suoi acquisti. L’esercente – che incassa tramite computer, smartphone, registratore di cassa o Pos – non paga nulla per incassare pagamenti sotto i 10 euro mentre paga 20 centesimi per quelli sopra quella soglia.

Funziona. L’app è riuscita a creare una rete di 18mila esercenti e 130mila clienti. Entrambi i dati sono in crescita verticale: solo a maggio si sono iscritte altre 16mila persone e hanno aderito quasi 2mila nuovi negozi. I soldi che passano da Satispay triplicano ogni 2 mesi: nel 2016 l’app è stata usata per 10 milioni di euro di acquisti, nel 2017 siamo già a 12 e l’obiettivo è chiudere l’anno a quota 40.

Non basta ancora: la startup deve arrivare a 1,2 milioni di clienti e 100mila esercenti per coprire le spese operative e di marketing. L’obiettivo è riuscirci nel 2018. Poi andare oltre.

L'aumento di capitale diretto verso i 20 milioni

Per sostenere la crescita in primavera i soci hanno avviato una nuova raccolta fondi, con un aumento di capitale che sta andando oltre le previsioni: il primo obiettivo era raccogliere 12 milioni ma ne sono già entrati quasi 15 e si pensa di chiudere sopra quota 20 ad agosto. Sarebbe la raccolta più ricca della storia delle startup italiane. I soldi servono a consolidare il primato nel mercato italiano e ampliare i servizi “a valore aggiunto” che aumentano i margini. Uno è il cashback: chi fa acquisti attraverso l’app in determinati giorni ha diritto a un “rimborso” percentuale sulla spesa (è la stessa Satispay a pagare, nella maggior parte dei casi). L’altro, in partenza nei prossimi mesi in associazione con una banca, è il credito al consumo: l’app conosce a fondo le abitudini del cliente ed è pronta a proporgli formule di acquisti a rate.

È possibile fare startup in Italia

Una volta consolidato il primato in Italia l’app punta a espandersi all’estero. La concorrenza dei giganti americani, meno sofisticati perché basati semplicemente sulla carta di credito, non fa paura. «L’introduzione di Apple Pay ha creato tanta curiosità sulle possibilità di pagare con il cellulare. Così, tante persone ci stanno scoprendo» racconta Dalmasso. Certo per imporsi anche altrove il Belpaese rischia di essere una base troppo piccola. L’idea di costruire all’estero questa realtà all’inizio c’è stata. «Ma poi le cose hanno iniziato a succedere. C’è stata la collaborazione con Iccrea e la facilità nel rapportarsi con gli esercenti italiani. Poi abbiamo approfittato della grande svolta del governo Monti, che con il decreto di Passera sulle startup innovative ha creato un’industria che prima non poteva esistere. Qui sentiamo il problema della burocrazia, che ci ha spinti a basare a Londra l’ istituto di moneta elettronica che “muove” i soldi su Satispay, e ci pesa l’assenza di fondi di venture capital abbastanza robusti per finanziare la nostra crescita. Però anche su questo fronte con l’introduzione dei Pir si stanno aprendo possibilità interessanti». Insomma, non è impossibile essere una grande startup italiana.

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