mercoledì 12 maggio 2010
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La strada dello Statuto dei lavori, attenta ai meriti e ai bisogni della persona, «presuppone un diritto del lavoro sostanziale governato da un autonomo ed efficiente sistema di relazioni industriali più che dalla logica tutta formalistica della norma inderogabile di legge». È in questi termini che il Libro Bianco sul futuro del modello sociale dello sorso anno (maggio 2009), prospetta l’evoluzione dello Statuto dei diritti dei lavoratori del 1970.Secondo il governo sono oramai maturi i tempi per «assetti regolatori e statuti normativi specifici per tipologia di settore produttivo», ma anche «territorialmente diversificati» fermo restando uno «standard protettivo minimo e omogeneo sull’intero territorio nazionale» a partire dalle norme di tutela della salute e sicurezza sul lavoro.L’idea di far evolvere – e progressivamente assorbire – lo Statuto dei lavoratori in uno Statuto dei lavori, in realtà, non è nuova. Una proposta organica, in questa direzione, era già stata formulata nel lontano 1997 da un gruppo informale di lavoro coordinato dal professor Marco Biagi, su incarico dell’allora ministro del Lavoro, Tiziano Treu. Tale proposta – ampiamente documentata da Marco Biagi, Progettare per modernizzare, in T. Treu, Politiche del lavoro. Insegnamenti di un decennio, il Mulino, Bologna, 2001 – è in seguito confluita in una vera e propria bozza di progetto di legge, formalmente presentata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 25 marzo 1998, nell’ambito dei lavori della commissione di studio per la revisione della legislazione in materia cooperativa con particolare riferimento alla posizione del socio-lavoratore (cosiddetta "Commissione Zamagni"), sebbene mai tradotta in un disegno formale di legge. L’idea di Statuto dei lavori è stata poi successivamente avanzata nel Libro Bianco del governo Berlusconi, dell’ottobre 2001, e rilanciata, pochi mesi dopo l’omicidio del professor Biagi, nel Patto per l’Italia del luglio 2002 che affidava a una commissione di alto profilo la messa a punto di una proposta di articolato normativo che avrebbe dovuto assumere la forma del Testo Unico della legislazione del lavoro. Dai corposi materiali predisposti nel corso dell’ultimo decennio (si possono vedere in www.adapt.it, indice A-Z, voce Statuto dei lavori) prenderà dunque plausibilmente spunto il progetto riformatore annunciato dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, nel forum di Confindustria dello scorso 10 aprile a Parma. Si tratta, in sostanza, di individuare un nucleo essenziale di norme e di principi inderogabili di legge, soprattutto di specificazione del dettato costituzionale, che siano comuni a tutti i rapporti di lavoro, replicando, in ciò, quanto già fece il legislatore degli anni Settanta, con appunto lo Statuto dei lavoratori che, tuttavia, è sin qui rimasto limitato, nel suo campo di applicazione, ai soli rapporti di lavoro subordinato nell’ambito della grande impresa manifatturiera. Nella prospettiva di ridurre il divario tra lavoratori stabili e lavoratori precari, i progetti di Statuto dei lavori sin qui elaborati si sono poi posti il compito di riallineare le restanti tutele del lavoro dipendente – ipotizzando una gamma di diritti parzialmente derogabili almeno in sede di contrattazione collettiva – definendo altresì alcuni diritti di nuova generazione a garanzia della inclusione sociale e della piena occupabilità di tutte le persone, a partire dal diritto post-moderno della formazione continua. Si tratta, in altri termini, di realizzare un sistema organico di tutele non solo per la persona che già lavora, ma anche misure volte a favorire le capacità di inserimento professionale dei soggetti privi di occupazione, dei disoccupati di lungo periodo e di tutti i soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque aventi una occupazione di carattere precario e a bassa qualità. Tale sistema di tutele andrebbe modulato, per cerchi concentrici, attorno a un nucleo fondamentale di garanzie universali applicabili a tutti i rapporti di lavoro. Se quindi diritti come la libertà di opinione, le libertà sindacali, la salute e sicurezza, l’equo compenso e, come ricordato, il diritto alla formazione continua, sono garanzie che devono interessare tutti i lavori, una più dettagliata fascia di tutele si potrebbero modulare secondo criteri qualificanti il rapporto di lavoro, come il grado di dipendenza economica, l’anzianità di servizio, la tipologia di datore di lavoro, la finalità del contratto.Perché il progetto non risulti astratto, l’evoluzione del diritto del lavoro dovrebbe comportare la costruzione di un articolato sistema di protezioni sul mercato del lavoro e una complessiva semplificazione del quadro normativo. In particolare è necessario rendere più efficienti i servizi per l’impiego, valorizzare la responsabilità degli enti bilaterali, ricondurre a sistema non emergenziale i tanti interventi degli ultimi anni sugli ammortizzatori sociali e razionalizzare la legislazione lavoristica oggi vigente.Il Rapporto Doing business 2010 della Banca mondiale avente a tema la facilità di fare impresa ci classifica al 78° posto su 183 Stati, in discesa rispetto agli anni scorsi. Il Rapporto annuale del World Economic Forum indica la legislazione del diritto del lavoro come uno dei principali punti di debolezza del nostro Paese (siamo al 117° posto – su 133 – della classifica dedicata all’efficienza del mercato del lavoro e alla certezza del diritto applicato). I tassi di occupazione regolare italiana, in particolare quella femminile e quella giovanile, sono ancora molto lontani dagli obiettivi di Lisbona e tra gli ultimi a livello europeo (in linea con le statistiche romene e polacche). Lavoratori e imprese hanno oggi bisogno di un quadro di regole semplici, sostanziali più che formali, accettate e rispettate perché concrete. Solo così si può concludere quel percorso di ammodernamento del nostro mercato del lavoro che è iniziato nel 1997, continuato nel 2003 e che ora è necessario portare a compimento per affrontare una realtà in costante evoluzione e non più interpretabile con gli schemi del secolo scorso e della sua legge simbolo in materia di lavoro cioè appunto lo Statuto dei lavoratori. Il lavoro deve essere liberato dall’eccessiva rigidità regolatoria che ancora lo vincola e dall’incompetenza che ostacola la piena occupabilità mediante l’accesso alle competenze che servono.Bisogna investire sulla risorsa più nuova della società contemporanea: uomini che chiedono risposte ai propri infiniti bisogni e realizzano lo sviluppo della persona non nonostante, ma attraverso e nel lavoro.
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