giovedì 16 aprile 2020
I due pilastri su cui si basa sono la cassa integrazione e i prestiti sino a 25mila euro
La rete a protezione delle aziende è robusta ma migliorabile
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L'emergenza sociale ed economica numero uno nel Paese colpito dalla pandemia è fornire liquidità e soccorrere famiglie e imprese per l’attività economica in arresto o in fortissimo calo in moltissimi settori. La misura chiave per le imprese contenuta nel decreto Cura Italia è l’accesso a prestiti con garanzia pubblica al 100% fino ad un massimo di 25.000 euro e garanzia al 90% per importi superiori. I prestiti possono essere concessi alla singola impresa fino al 25% del fatturato annuo o al doppio del costo del lavoro. Il sistema bancario italiano potrà praticare su questi prestiti tassi vicini o di poco superiori allo zero mantenendo un margine d’intermediazione sufficiente a remunerare l’attività e a tenere in piedi l’istituto di credito grazie alle linee di credito che la Bce ha concesso alle banche di tutti i paesi membri con un plafond di 3.100 miliardi al tasso negativo del -0,25%. Facendo alcuni conti è possibile prefigurare come la combinazione del prestito Cura Italia con la Cassa Integrazione per tutte le categorie di lavoratori consenta alle imprese un percorso che alla fine potrà rivelarsi profittevole ed occasione di rilancio. Ma sotto alcune condizioni e non per tutti. Prendiamo per semplicità un caso base. Un’impresa standard interrompe per due mesi (marzo e aprile, sperando che a maggio riprenda la produzione) l’attività. In questi due mesi i costi variabili di acquisto di materie prime sono sospesi e quelli variabili di costo del lavoro sostenuti dallo stato con la Cassa Integrazione. L’impresa deve invece pagare anche in questo periodo i costi fissi per oneri finanziari pregressi, canoni di locazione, spese di magazzino e ammortamenti: riteniamo che queste spese possano arrivare a non più del 40% del fatturato come limite massimo (in media pesano meno). Ipotizziamo per l’impresa un margine di profitto del 10%. Facendo pari a 100 i costi totali mensili l’impresa può prendere a prestito fino a 330 (il 25% del fatturato annuale) a un tasso di poco sopra lo zero.

Utilizzerà questi fondi innanzitutto per coprire le perdite dei due mesi (al massimo 80 considerando la quota massima di costi fissi) e investirà il rimanente (250) nell’attività caratteristica dell’impresa, che ipotizziamo renda almeno quanto nell’ordinario (10%). Non consideriamo in questo caso per semplicità che il prestito andrà restituito in un’orizzonte massimo di sei anni riducendo quindi significativamente il valore attuale dell’onere (se l’impresa fosse in grado di remunerare il denaro non restituito almeno al 3% annuo questo porterebbe il valore attuale della somma da restituire a 2.000 riducendo significativamente l’onere per il debitore). Il rendimento effettivo del prestito (25+30 recuperati dalla spalmatura nel tempo della restituzione del prestito) sarebbe in questo caso più che sufficiente a creare un buon margine di profitto per l’impresa dopo aver coperto le perdite del periodo Coronavirus.Il problema si complica leggermente per un’azienda la cui attività non riparte immediatamente alla ripresa delle operazioni (come dovrebbe invece verosimilmente essere per un esercente del commercio ad esempio). Il rendimento del prestito (55) non è sufficiente a coprire nemmeno un mese di piena operatività a zero fatturato (ovvero il totale dei costi fisso fatto pari a 100 nel nostro esempio). Qualcosa in più se rendiamo meno severe le ipotesi di partenza sulla quota di costi fissi su costi totali.

Questo esempio suggerisce dunque come sarebbe fondamentale aumentare la dimensione massima del prestito e fare un ragionamento per settore. Ad esempio consentendo un prestito fino a due volte i costi totali annuali (2.400) e facendo i conti con gli stessi parametri di cui sopra il rendimento del prestito sarebbe sufficiente a coprire altri cinque mesi e mezzo di piena operatività a zero fatturato. I settori che richiedono necessariamente l’assembramento di persone (turismo, trasporti, eventi) avranno necessariamente tempi molto più lunghi di ripartenza richiedendo dunque interventi di taglia differente.In conclusione la combinazione di prestiti BCE alle banche a tassi negativi, sistema di prestiti costruito con il Cura Italia e copertura del costo del lavoro nel periodo di lockdown con la cassa integrazione possono rappresentare per le imprese un mantello protettivo importante. Se il sistema funziona e le sofferenze sono basse, il modello è in grado di non creare oneri per le finanze pubbliche e di consentire al sistema bancario, una delle parti più delicate, della nostra economia, di non accumulare sofferenze (a questo fine impossibile non prevedere un minimo d’istruttoria per i prestiti sopra i 25.000 euro). Ma è essenziale aumentare la soglia massima dei prestiti per venire incontro alla situazione dei settori più in difficoltà. Gli altri fattori chiave per il successo dell’operazione sono i tempi di erogazione dei prestiti e il tempo necessario per tornare a pieno regime dal momento della ripartenza dell’attività, diverso da settore a settore. È su questo che si giocherà la riuscita della rete di protezione e la capacità di ripartenza del nostro Paese.

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