venerdì 1 aprile 2016
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MILANO In Italia il 62% delle sofferenze sta dentro i grandi crediti, che occupano il 74% dell’erogato. Nello specifico, il 21% delle sofferenze riguarda classi di importi fino a 250mila euro, e corrisponde a 40 miliardi di euro. Gli altri 140 miliardi appartengono a classi di importi più elevati: tra queste, i crediti più rischiosi sono quelli che corrispondono a una erogazione da 1 a 5 milioni di euro. È quanto emerge da uno studio di First Cisl sui crediti deteriorati in Europa, presentato ieri durante il convegno 'Banche e territorio: il coraggio di un cambiamento necessario'. Come spiega il segretario generale del sindacato del settore del credito, Giulio Romani, «le sofferenze incidono molto meno sui piccoli crediti che sui grandi. Dal report vediamo come sia stato erogato di più il credito maggiorente rischioso, e a tassi meno elevati ». A perderci negli ultimi anni sono state dunque le piccole e medie imprese, nonostante «il loro finanziamento sia più conveniente a livello economico, e meno rischioso dal punto di vista della possibilità di insolvenza – prosegue Romani – noi pensiamo che le banche, senza tralasciare la grande industria, debbano conformarsi al tessuto economico, sociale e produttivo in cui risiedono». Come? Con una ponderata selezione del merito creditizio ed erogando finanziamenti a tassi opportuni nelle classi di affidamento intermedie, ma anche «riorganizzandosi dal punto di vista della struttura di filiale, creando dei centri di consulenza per le Pmi e favorendo la capitalizzazione di queste imprese». Obiettivi che sono anche al centro delle attenzioni della Bce. «Il presidente Draghi sta concedendo alle banche europee risorse perché finanzino le imprese e sostengano le famiglie – dichiara il segretario generale della Cisl Annamaria Furlan – ci vuole un sistema di credito italiano pronto ad accettare questo ruolo». In tal senso, secondo Furlan, «le banche vanno rafforzate e patrimonializzate. In questa logica le fusioni possono anche essere validi strumenti, ma va cambiato il sistema: il Governo deve distinguere tra banca d’affari e banca commerciale, tra chi fa speculazione finanziaria e chi invece investe nell’economia reale, anche attraverso un’impostazione fiscale diversa tra questi due modi di fare credito». Di fusioni ha parlato anche Fabrizio Viola, direttore generale del Monte dei Paschi: «Più che sul tema delle aggregazioni, dobbiamo concentrarci su quello del modello: è importante scegliere bene il modello di business per affrontare i cambiamenti». Della stessa idea Eliano Omar Lodesani, coo di Intesa Sanpaolo: «In un mondo in cui il rischio è crescente, la chiave di volta sono i modelli. Davanti a un mercato in cambiamento, quale modello di banca per il futuro è quello giusto?». Le fusioni, per Lodesani, «ci sono sempre state, anche da noi», mentre per Piero Giarda, presidente del comitato di sorveglianza di Banca Popolare di Milano, alle prese con la fusione con Banco Popolare, «i governi sono qui per questo: per prendere decisioni importanti per il Paese, questioni di interesse pubblico», che sono il mezzo per arrivare a un modello di business nuovo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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