martedì 14 agosto 2012
​Cala la produzione, i fondi gonfiano i prezzi del cibo. L’assenza di piogge nel Midwest Usa ha fatto crollare la produzione di grano, i contratti derivati hanno spinto i listini alimentari. Lo spettro di una nuova una crisi.
Il prezzo più ingiusto di Luigino Bruni
In Italia già un miliardo di danni all'agricoltura
COMMENTA E CONDIVIDI
​Lo spettro della crisi alimentare torna ad aggirarsi nel mondo. Un mix di condizioni climatiche avverse e di speculazione sui mercati dei derivati sta facendo correre i prezzi delle materie prime alimentari verso nuovi record. Rischiando di riproporre una crisi paragonabile, se non peggiore, a quella del 2008, quando intere popolazioni vennero ridotte alla fame dal boom dei prezzi del cibo.La sirena ha incominciato a suonare da qualche mese, al manifestarsi dei primi segnali di tensione sui mercati, ma è soprattutto con la siccità che sta colpendo il Midwest americano, il granaio del mondo, che la paura ha incominciato a prendere corpo. E in serio pericolo c’è in particolare quel miliardo di persone che nel mondo vive a stretto contatto con la fame, le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo dove la spesa per il cibo copre il 70-80% del bilancio familiare.I prezzi alimentari in generale, registrati dall’indice Fao, sono cresciuti, solo a luglio, del 6%, il maggiore incremento dal novembre 2009. Il mais è aumentato del 40% dal maggio scorso, il grano del 35%, la soia del 20%. Il riso del 10%. Non siamo ancora ai livelli record raggiunti nel febbraio 2011 dall’indice Fao, ma la velocità con la quale i listini stanno correndo indicano che manca veramente poco a coprire quel 10% che ancora manca al livello massimo. L’effetto che le variazioni dei prezzi del cibo hanno sui popoli è immediato e devastante. Con un 10% di aumento, 10 milioni di persone finiscono quasi automaticamente sotto la soglia di povertà.Le ragioni di queste fiammate sono legate a diversi fattori, alcuni strutturali, altri contingenti, altri di mero interesse. Fao e Ocse nel loro ultimo rapporto indicano che per far fronte all’aumento della domanda di cibo la produzione agricola dovrebbe crescere del 60% nei prossimi 40 anni, mentre al contempo segnalano che nei prossimi dieci anni i prezzi potrebbero crescere dal 10 al 30%. Il problema è che quest’anno la produzione mondiale di cereali calerà di 23 milioni di tonnellate, quella del mais di 25 milioni. Il taglio è dovuto in particolare a condizioni climatiche avverse nel mondo. La siccità negli Stati Uniti è la peggiore da almeno 25 anni, e a questo si sono aggiunte le alluvioni in Russia e le piogge eccezionali in Brasile, che danneggiando gran parte dei raccolti hanno ridotto la produzione.Il problema è che questi fattori vengono cavalcati dalla speculazione, la stessa all’origine della crisi del 2008. Esattamente come quattro anni fa, quando le Borse erano depresse dallo scoppio della bolla dei mutui subprime, i capitali speculativi dei grandi fondi di investimento stanno cercando buoni rendimenti e facili occasioni di guadagno. Le Borse delle materie prime, proprio per le condizioni di fragilità del settore agricolo, sono un obiettivo che ripaga. Gli strumenti con i quali si specula sono i contratti derivati: inventati per proteggere gli agricoltori dalle variazioni dei prezzi, dopo la deregulation del 2000 sono dilagati oltre misura. Nel 1996 solo il 12% dei contratti sul grano era di natura speculativa, oggi ben il 65% degli scambi di future avviene per opera di soggetti che non hanno nemmeno un sacco della materia prima. Con l’80% dei contratti che è scambiato fuori dalle Borse vigilate. Questo non è solo speculare sulla fame, è alimentarla.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: