martedì 30 giugno 2020
Anche Levi’s e Diageo aderiscono alla campagna di ritiro della pubblicità dai social network per i troppi discorsi d’odio e le notizie false. Zuckerberg promette nuove misure per proteggere gli utenti
Mark Zuckerberg, fondatore e ceo di Facebook, nel filmato in cui spiega i nuovi impegni del social network

Mark Zuckerberg, fondatore e ceo di Facebook, nel filmato in cui spiega i nuovi impegni del social network

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I nuovi impegni di Mark Zuckerberg per fermare i discorsi d’odio e la disinformazione su Facebook e Instagram non hanno fermato la ritirata dei grandi investitori pubblicitari dai social network.

Anche Adidas, Rebook, Levi’s e la multinazionale dell’alcol Diageo hanno aderito alla campagna #StopHateForProfit lanciata il 17 giugno dall’Anti–Defamation League.

La campagna dell’organizzazione non governativa ebraica chiede alle aziende di non fare più pubblicità a luglio su Facebook e la sua controllata Instagram per ottenere dai social network almeno dieci misure significative per arginare l’odio e le bufale online. Tra le misure richieste ci sono un controllo indipendente dei risultati sui contenuti problematici, la segnalazione automatica di contenuti violenti anche nei gruppi privati, la rimozione dei gruppi incentrati su idee come la supremazia bianca, l’antisemitismo, la negazione dell’Olocausto o le bufale su vaccini e ambiente.

Le adesioni alla campagna sono più di cento. Prima di Diageo e Levi’s si erano unite altre grandi aziende come Unilever, Verizon, Coca–Cola, Honda, Hershey’s, Patagonia e The North Face. Venerdì Zuckerberg aveva provato a contenere i danni con un video in cui promette nuove azioni per contrastare odio e disinformazione. Nel filmato il fondatore e Ceo del social network ribadisce anche la volontà di lasciare che Facebook sia «un posto che le persone possono usare per discutere questioni importanti».

Il social network vive da anni questa tensione che nella sua versione più romantica contrappone libertà di espressione e sicurezza degli utenti ma nella sua concretezza di business è in realtà il problema di continuare a ospitare tutti i contenuti utili a catturare l’attenzione delle persone – cosa che riesce purtroppo molto bene con bufale e discorsi d’odio – e nello stesso tempo essere un ambiente digitale in cui una grande azienda inserisce volentieri i suoi messaggi pubblicitari. Anche gli altri social network, non solo Facebook Instagram, vivono con difficoltà questo stesso problema.

Diverse delle aziende che hanno aderito alla campagna #StopHateForProfit hanno messo in pausa per un tempo indefinito la pubblicità su qualsiasi tipo di social network. È la linea scelta anche da HP e Starbucks, che non ha formalmente aderito al boicottaggio ma ha annunciato comunque uno stop alle inserzioni. Facebook vive solo di pubblicità. Le inserzioni rappresentano il 98,5% dei 70,7 miliardi di dollari di fatturato 2019. Se la ritirata dei grandi investitori prosegue e si intensifica può mettere davvero a rischio il futuro del social network.

Rimediare, però, non sarà semplice. Adottare le raccomandazioni della campagna #StopHateFor-Profit chiede uno sforzo significativo sul controllo dei contenuti e limiti che allontaneranno milioni di utenti. Potrebbe comunque non essere abbastanza per convincere gli investitori a restare. La scelta di sospendere la pubblicità sui social da parte di alcune aziende è infatti molto argomentata e non si limita all’adesione a questa campagna. Unilever, gigante anglo–olandese dei prodotti del largo consumo, spiega di essere preoccupata per il livello di «polarizzazione dell’atmosfera negli Stati Uniti» e del tasso di divisione della popolazione. Ha scelto di non fare più pubblicità almeno fino a fine anno su Facebook, Instagram e Twitter negli Stati Uniti perché «continuare a fare pubblicità su queste piattaforme in questo momento non aggiungerebbe valore alle persone e alla società. Valuteremo i progressi e rivedremo la nostra posizione se necessario». Se le aziende non vogliono più partecipare a sistemi che creano divisioni e polarizzazioni, allora per i social è davvero la fine.

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