Le tre battaglie del presidente Milei: il Parlamento, i giudici e la piazza
venerdì 29 dicembre 2023

Il Parlamento, la magistratura, la piazza. Sono i tre campi di battaglia in cui Javier Milei si troverà a combattere nelle prossime settimane e mesi per «mettere fine a una lunga e triste storia di decadenza e declino e cominciare il cammino di ricostruzione del nostro Paese», come ha detto dopo avere ricevuto la fascia presidenziale, il 10 dicembre scorso. E lo scontro si profila aspro.

Il nuovo inquilino della Casa Rosada sa che il fattore tempo gioca a suo sfavore. L’euforia per la vittoria più consistente in quarant’anni di democrazia – il 56% – rischia di spegnersi in breve per l’aumento record dell’inflazione e i tagli dello stato sociale.

Fra due mesi, poi, l’Argentina entrerà nell’inverno australe e, rimossi i sussidi, i prezzi di gasolio ed elettricità esploderanno. Insieme al malcontento. Il leader dell’ultradestra, dunque, ha deciso di accelerare con il varo di due misure “rivoluzionarie” nella settimana a cavallo del Natale. Il 20 dicembre è arrivato il “decretazo”, un maxi-decreto di oltre trecento riforme per sottrarre l’economia nazionale «alla schiavitù dello Stato», secondo le sue parole.

Mercoledì notte, il capo del governo ha inviato alla Camera o Congresso un progetto di legge di quasi 700 articoli che modifica drasticamente l’assetto politico e sociale della Repubblica del Plata.

La “ley omnibus”, come è stata ribattezzata, proclama l’emergenza fino al 2025 e trasferisce una serie di competenze fondamentali dal legislativo all’esecutivo in questioni economiche, finanziarie, previdenziali, fiscali, sanitarie e addirittura elettorali. In particolare, indurisce le sanzioni contro le proteste sociali, punendo con pene fino a sei anni di carcere gli organizzatori di manifestazioni che impediscano la libera circolazione o l’erogazione di servizi pubblici.

La traduzione in legge, in pratica, del “decreto sicurezza” della ministra Patricia Bullrich. Il bersaglio sono evidentemente i “piquetes”, blocchi stradali che, dal tracollo del 2001, sono diventati parte dell’effervescente paesaggio urbano argentino nonché sinonimo di dimostrazione popolare. Milei, dunque, ha affilato le armi e schierato le truppe.

Ora comincia la triplice battaglia. Il “fronte-Congresso” è quello più urgente. Chiuso per la pausa estiva e le vacanze natalizie, il Parlamento dovrà decidere, in sessione straordinaria, se bocciare il “decretazo”, procedimento possibile, in base al regolamento del 1994 solo con il doppio no esplicito di Camera e Senato. Poi, sempre in sessione straordinaria entro gennaio, dovrà pronunciarsi sulla “ley omnibus”. E le probabilità che l’accetti non sono tante.

Il presidente è in forte minoranza nei due bracci parlamentari. Il suo partito, “La libertad avanza” ha 38 deputati su 257 e otto senatori su 72. Con l’opposizione peronista riunificata dall’anti-mileismo, l’unica chance è convincere il centro-destra e il suo centinaio di rappresentanti al Congresso, spaccati sull’alleanza con il presidente anarco-capitalista.

Anche se dovesse riuscirci, poi, dovrà superare lo scoglio della magistratura. Il “decretazo” ha già una sfilza di istanze giudiziarie per incongruenza con la Costituzione. E vari giuristi sostengono il fondamento delle obiezioni. Il presidente può legiferare solo in condizioni di necessità e urgenza e queste non sembrano sussistere. La “ley omnibus”, se dovesse passere, non sembra meno controversa sotto il profilo costituzionale.

C’è, infine, il “fattore piazza”. I sindacati – di indiscussa matrice peronista – sono in prima linea. Nel giro di una settimana, le potenti Confederación general del trabajo (Cgt) e Confederación de trabajadores de la Argentina (Cta) hanno organizzato due maxi-proteste a Buenos Aires. Alla seconda, mercoledì sera, sulla centralissima Plaza Lavalle, c’erano ventimila persone. Su pressione dei movimenti popolari – che rappresentano il 70% della manodopera esclusa dall’economia formale –, la Cgt ha dichiarato lo sciopero nazionale il 24 gennaio, il primo da cinque anni.

Il governo si è già detto pronto a rispondere con il pugno di ferro. Il leader che ha scelto come simbolo la motosega sa, però, che la forza non è sufficiente. Da qui l’intento di blandire l’opinione pubblica con qualche misura populista in stile-Zapatero, come il “divorzio express”, introdotto fra le quasi 700 norme della “ley omnibus”. Nonché l’intensificazione della propaganda sulle reti sociali rivolte ai gruppi con meno risorse. «Questi provvedimenti sono l’ultimo boccone amaro» - ripete Milei - affinché la libertà possa avanzare. Quale gusto avrà, però, non si sa.




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