sabato 6 giugno 2020
I ciclofattorini tornano a chiedere con insistenza un contratto nazionale: in questi mesi di emergenza non ci siamo fermati, vogliamo le 40 ore settimanali e le indennità per i festivi
Rider «essenziali» ma senza tutele

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Una zona grigia dove sfruttamento, minacce e ritorsione rischiano di trovare un terreno fertile. L’inchiesta sui rider che ha portato al commissariamento di Uber Eats per caporalato, o meglio per “interposizione fittizia di manodopera”, ha riaperto il dibattito sulle nuove schiavitù da gig economy. Per i rider il lungo periodo di lockdown è stato un paradosso. Da una parte la paura del contagio, dall’altra la necessità di scendere in strada per lavorare.

E il lavoro, tra alti e bassi, non è mancato: le consegne a domicilio sono state inserite tra i servizi essenziali. Adesso si scopre che un colosso del calibro di Uber affidava a due società di intermediari il compito di reclutare manovalanza a basso costo. Sarà la magistratura a stabilire reati e responsabilità ma dalle testimonianze di migliaia di rider in tutta Italia emergono condizioni di lavoro insostenibili per mancanza di chiarezza sui compensi, sulle modalità di ingaggio e di “licenziamento”.

Già a settembre, quando è stata aperta l’inchiesta milanese coordinata dal pm Tiziana Siciliano, era emersa una commistione pericolosa tra rapporti di lavoro irregolari e immigrazione. Se prima della pandemia la magistratura ipotizzava l’utilizzo di una forma di “subappalto” degli account che consentivano ai titolari di guadagnare mandando in strada immigrati, adesso è emersa una forma di sfruttamento “organizzato”. Gli stranieri venivano reclutati e assoldati per fare consegne ma non avevano alcun contatto diretto con la piattaforma, venivano pagati in contanti da un intermediario.

«Dal caporalato digitale, con le piattaforme che ti assegnano un punteggio in base alla tua disponibilità e velocità e se vogliono ti bloccano il profilo – spiega Lorenzo Righi di Union rider Bologna, il primo sindacato autonomo nato anni fa – siamo tornati ad un caporalato vecchia maniera che colpisce gli immigrati, i più bisognosi anche perché devo- no mandare le rimesse nel proprio paese, per mantenere le famiglie lontane». Già in una precendente ricognizione sull’utilizzo di mascherine Uber Eats era risultata inadempiente e la sua sede italiana, a Milano, inesistente. Ieri nel corso di un consiglio direttivo nazionale di Assodelivery, l’associazione che riunisce le principali piattaforme (tra le altre Just Eat, Glovo, Deliveroo), Uber ha proposto la sua temporanea sospensione dal direttivo.


5 euro
La paga oraria secondo le stime fatte da Milano Deliverance, uno dei sindacatoi milanesi dei rider. Le piattaforme applicano in media una tariffa oraria e un bonus per ogni consegna.
20mila
I ciclofattorini in Italia secondo le ultime stime. Nei mesi del lockdown ci sarebbe stato un ulteriore ampliamento della platea dei lavoratori, soprattutto immigrati.
34 %
La percentuale di nuovi clienti per il food delivery durante la pandemia secondo quanto emerso da un sondaggio realizzato da Just Eat su un campione di 2mila persone.
200 euro
Il bonus per l’acquisto di gel igienizzante, mascherine e guanti che la Regione Lazio ha deciso di erogare ai rider che lavorano sul territorio regionale per tutelare la loro sicurezza.



L’associazione ha preso posizione contro il caporalato e lo sfruttamento. Intanto i rider si sono mobilitati per chiedere che la norma inserita nel decreto Salva imprese che li riguarda (l’ex decreto 101 del 2019), che ha previsto un impianto normativo a due velocità ma anche lasciato a piattaforme e sindacati l’arduo compito di entrare nel dettaglio, diventi realtà.

Di fatto, sull’onda del Jobs Act i rider devono essere considerati lavoratori parasubordinati perché sono sì dei collaboratori fissi (i vecchi co–co–co) ma il loro modo di lavorare è “eterorganizzato” dalle piattaforme, mentre chi lavora saltuariamente dovrebbe almeno vedersi riconosciuta una paga oraria minima. Misure che per il momento però sono solo sulla carta. «Chiediamo un contratto con le 40 ore canoniche e una maggiorazione del 10% della paga oraria in caso di festività, lavoro notturno o in condizioni avverse – spiega Angelo di Milano Deliverance –. Per coprire le esigenze differenziate, ad esempio nei week end, si può fare ricorso a contratti part–time verticali. Le soluzioni ci sono stiamo lavorando con i sindacati confederali di tutta Italia per ottenere un contratto nazionale. La legge approvata a novembre stabiliva un anno di tempo per trovare un’intesa tra le parti, ma già si ipotizza una proroga a causa del coronavirus».

Al momento secondo il sindacato milanese la paga oraria si aggira attorno ai 5 euro l’ora e soprattutto non ci sono garanzie lavorative, da un giorno all’altro si può restare senza consegne. Passi in avanti per fortuna ci sono stati sul fronte dell’assicurazione per infortuni scattata a febbraio che prevede una copertura Inail in caso di incidente o malattia (anche Covid–19). Discorso a parte per le misure di sicurezza (mascherine, guanti e gel igienizzanti) spesso sono state consegnate in ritardo dalle aziende o lasciate a carico dei ciclofattorini.

La Regione Lazio ha deciso di erogare un bonus da 200 euro ai rider, ma è un caso isolato. In questa direzione va l’ultima forma di protesta annunciata ieri: uno sciopero delle consegne al piano per tutto il week–end per segnalare la mancanza di adeguati presidi di sicurezza. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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