martedì 11 dicembre 2018
Il 54% vuole mantenere i servizi gratuiti o a basso costo. Bongiorno: con quota 100 più turnover. Becchetti: patto generazionale possibile
Welfare, giudizio negativo di quasi due italiani su tre
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I giudizi degli italiani sui servizi di welfare sono prevalentemente negativi. La sanità è il settore del welfare considerato più importante, su cui ci si aspetta un investimento da parte dello Stato per potenziare i servizi ai cittadini. Emerge anche la consapevolezza che il sistema sanitario andrà incontro a difficoltà crescenti per l’invecchiamento della popolazione e per le risorse economiche pubbliche sempre più limitate. Nonostante ciò, gli italiani non mostrano un atteggiamento attivo sia in termini di coperture complementari sia di informazione e approfondimento del tema. Sono queste alcune delle principali evidenze emerse dalla ricerca di Ipsos presentata oggi a Roma nel corso del Welfare Italia Forum 2018, iniziativa del Gruppo Unipol giunta alla IX edizione, collocata nell’ambito del programma Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali. L’evento rappresenta un momento di incontro tra decision maker e stakeholder attivi nei settori sanitario, socio-assistenziale e previdenziale con l’obiettivo di favorire lo sviluppo della White Economy, una filiera economica ed occupazione in grado di contribuire attivamente alla crescita del Paese.

L’indagine mostra come il giudizio degli italiani sui servizi di welfare sia complessivamente negativo, in quanto valutati in modo pessimo o scarso dal 61% della popolazione – con punte del 75% nel Centro Italia - e in modo ottimo o buono dal 33%, percentuale che sale al 39% nel Nord Ovest. È evidente che gli italiani percepiscano la necessità di riformare il sistema di welfare e di riallocare le risorse pubbliche in modo più efficiente. Su cosa sia più importante, si dividono in due gruppi: il 48% ritiene che i servizi debbano essere sempre garantiti a tutte le fasce di reddito, anche accettando un aumento delle tasse e una perdita di efficienza, mentre il 32% vorrebbe servizi più efficienti e con più libertà di scelta, anche a costo di pagarli e non poterli rendere accessibili a tutti. Nel complesso, però, circa l’80% degli italiani è d’accordo sul fatto che il sistema sanitario di assistenza gratuita o a costi bassi sia sostenibile nel lungo periodo solo se si eliminano gli sprechi e i costi eccessivi della politica. Tra i vari settori del welfare, la sanità è considerato quello più importante, l’unico a raccogliere più giudizi positivi (48%) che negativi (47%), ma a prevalere è il disincanto: il 68% degli italiani vorrebbe che nei prossimi anni lo Stato spendesse di più rispetto ad oggi in sanità, ma soltanto il 15% è convinto che lo farà. Le preoccupazioni personali per il futuro sono molteplici e riguardano soprattutto una possibile condizione di malattia o non autosufficienza (46%), l’inadeguatezza della pensione (36%), la difficoltà far fronte alle spese (30%) e la mancanza di una prospettiva lavorativa (29%). Le opinioni degli italiani sulle strategie da mettere in atto per il futuro a livello di sistema sono però chiare: il 54% ritiene che si debbano mantenere tutti i servizi gratuitio a basso costo solo per chi è in condizioni di povertà e farli pagare al resto della popolazione, il 15% vorrebbe un aumento delle risorse alzando le tasse, mentre il 6% è per la riduzione dei servizi (e dei costi). Nonostante la consapevolezza che un sistema di welfare così strutturato non possa essere sostenibile nel lungo periodo, c’è una bassa partecipazione e informazione al riguardo. Per esempio, l’86% degli intervistati ha dichiarato di non essersi posto il problema di come affrontare in termini economici una possibile situazione di disabilità in vecchiaia. Inoltre, soltanto il 22% degli italiani dispone di un’assicurazione sanitaria e il 61% non ha interesse a farla. Allo stesso modo, solo il 30% della popolazione dichiara di poter contare su un piano pensionistico integrativo. Per questi motivi appaiono necessarie iniziative di comunicazione, in ambito pubblico e privato, che arrivino a tutta la popolazione, in grado di stimolare un approccio più proattivo del cittadino nell’ambito di una nuova offerta di welfare, efficiente, funzionale e accessibile a tutti.

Per quanto riguarda il ricambio generazionale, invece, la ministra per la Pubblica amministrazione
Giulia Bongiorno, intervenuta al convegno, ha spiegato che «sulla Pa la proiezione è che sicuramente il personale che deve uscire è pari a 147mila l'anno, per cui se garantisco il turnover avrò 147mila che escono e 147mila che entrano». «Io però - ha aggiunto - mi sono riservata una finestra più ampia per la scelta perché devo garantire la continuità amministrativa quindi il pubblico dipendente deve seguire un iter che consenta all'amministrazione di non rimanere scoperta». Bongiorno ha quindi ribadito che le 147mila uscite che avverranno già nel 2019 «sono a prescindere dalla quota 100». «Non possiamo sapere se un dipendente opterà o no per quota 100 - ha proseguito - alcuni hanno già iniziato a scrivermi che vogliono aderire, non so forse al buio, devono ovviamente aspettare la norma e a quel punto si capiranno i numeri. Abbiamo un problema di invecchiamento della Pa, credo che un ingresso così straordinariamente ampio non si aveva da tempo».

Per il professore di Economia politica
Leonardo Becchetti, dell'Università di Roma Tor Vergata, un «patto generazionale è possibile più nel pubblico che nel privato». «Le aziende - sottolinea l'economista - dipendono dal mercato. Non sempre il lavoratore anziano è disposto o adatto a trasmettere le proprie competenze ai giovani. Con il mentoring si assiste a una uscita lenta dei più esperti».


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