martedì 11 luglio 2017
La crisi della carta stampata, che negli ultimi 5 anni ha visto precipitare del 34% il suo giro d’affari e del 43% il numero di copie vendute, è a un livello da creare allarme per la democrazia
Su i ricavi di tv e radio, ancora giù la stampa. E l'online supera i giornali
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La stampa è la grande esclusa della ripresa dell’industria italiana delle comunicazioni. Per la prima volta da cinque anni il giro di affari del settore nel 2016 è tornato a crescere, scrive l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AgCom) nel rapporto presentato alla Camera. Il fatturato complessivo è salito dell’1,5%, a 53,6 miliardi di euro grazie a una risalita dello 0,2% dei ricavi delle aziende delle telecomunicazioni (a 31,8 miliardi), una crescita anche più sostenuta dell’industria dei media (+3,9%, a 14,7 miliardi) e un andamento positivo dei servizi postali (+2,6%, a 7 miliardi di euro).

Ogni ambito industriale ha i suoi punti deboli. Per le telecomunicazioni, per esempio, a soffrire sono gli introiti per i collegamenti su rete fissa, diminuiti di un altro 2% lo scorso anno, così come per le poste è il servizio universale a segnare un calo che assomiglia a un tracollo: -12,6%. Per i media la pecora nera del mercato è l’editoria. Perché mentre gli incassi della televisione sono in decisa ripresa (+9,8% a 4,98 miliardi per quella in chiaro, +2,6% a a 3,4 miliardi per quella a pagamento) e anche la radio segna un buon aumento (+3,2%, a 639 milioni di euro) la carta stampata prosegue il suo declino.

Il calo del giro d’affari è del 6%, da 4 a 3,82 miliardi di euro, ed è un po’ più accentuato per i quotidiani (-6,6% a 1,84 miliardi) che per i periodici (-5,5%, a 1,98 miliardi). Nonostante la ripresa generale del mercato della pubblicità (+5%, a 7,2 miliardi di euro complessivi) quella pagata ai giornali e ai periodici è ulteriormente diminuita, scivolando rispettivamente dell’8% e del 4%. Il 2016 è anche un anno a suo modo storico di come stanno cambiando gli equilibri perché per la prima volta i ricavi pubblicitari del mondo online, saliti del 14,8% a 1,9 miliardi euro, superano il fatturato totale (cioè vendite più pubblicita) dei giornali. Senza però portare molti benefici agli editori, che su Internet si vedono sottrarre da altri soggetti molti degli incassi pubblicitari legati agli articoli prodotti dalle loro redazioni. Come scrive la stessa AgCom nel rapporto, il settore editoriale «non manifesta in alcun modo una inversione di tendenza».

La crisi economica della carta stampata, che negli ultimi cinque anni ha visto precipitare del 34% il suo giro d’affari e del 43% il numero di copie vendute è a un livello tale da creare un allarme per il funzionamento della nostra democrazia, ha avvertito il
presidente dell’AgCom, Marcello Cardani. «La pluralità ma anche la qualità dell’informazione — ha ricordato a Montecitorio — rappresentano condizioni imprescindibili di un sistema democratico, la contrazione e il depauperamento di un bene essenziale richiede l’attenzione di tutti gli attori in campo, specie in un momento storico nel quale la domanda e l’offerta di informazione di qualità sul web sembra minacciata da fenomeni di camere di risonanza, polarizzazione e strategie di disinformazione».

I sintomi questo problema sono già visibili. Il crollo degli investimenti nell’attività giornalistica a cui si è assistito nell’ultimo decennio, segnala l’AgCom, «non può non avere effetti sulla qualità di informazione, minando l’attività di approfondimento e verifica delle fonti e generando fenomeni patologici, quali quello delle fake news». Non solo. A livello locale la situazione è anche più difficile, perché le testa sono più in difficoltà e per i giornalisti, stretti tra «precariato diffuso e retribuzioni sempre più esigue», è diventato «arduo riuscire a opporsi alle diverse forme di censura imposte dall’esterno».

L’AgCom non offre soluzioni. Segnala l’approvazione della riforma dell’editoria approvata lo scorso autunno e si impegna a una «costante attività di monitoraggio» del settore combinata a una strategia per affrontarne «tutti i nodi strutturali che vanno dalla drastica riduzione delle fonti di finanziamento alle criticità emerse nella professione giornalistica».

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