martedì 26 luglio 2016
Il 91% dei lavoratori italiani teme una diminuzione della popolazione attiva. Secondo i dipendenti, gli over 55 hanno maggiori difficolta ad acquisire nuove competenze rispetto ai giovani (18-30 anni) e peggiori prospettive di occupazione nei prossimi cinque anni.
L'Italia non è un Paese per vecchi
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Gli italiani sono preoccupati per l'invecchiamento della forza lavoro, che nei prossimi anni può ridurre la popolazione attiva, mettere a rischio la pensione, pesare sulla spesa previdenziale e sanitaria, influire sulla produttività delle organizzazioni. Ma che - nella percezione dei dipendenti – può incidere negativamente sulla condizione degli stessi lavoratori “over 55”, in difficolta con l'acquisizione di nuove competenze, oggetto di minori politiche attive rispetto ai giovani, con prospettive occupazionali poco ottimistiche nell'immediato prossimo futuro.Ben il 91% dei lavoratori in Italia (più di tutti al mondo) teme che l'età media sempre più alta dellaforza lavoro possa far diminuire la popolazione attiva. Ma non è l'unico timore. Per il successodell'azienda, quasi tutti i dipendenti (l'83%) ritengono cruciale attirare nuovi giovani (18-30 anni),mentre solo il 52% giudica fondamentale trattenere i lavoratori over 55. Sono più frequenti politiche attive aziendali per attirare lavoratori giovani (nel 63% dei casi) che per trattenere i più anziani (45%). E otto dipendenti su dieci ritiene più difficile per i lavoratori over 55 acquisire nuovecompetenze che consentano di stare al passo con l'aggiornamento professionale.Sono alcuni dei risultati del Workmonitor, l'indagine sul mondo del lavoro svolta in 34 Paesi delmondo da Randstad, secondo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane (interviste aminimo 400 lavoratori tra i 18 e i 65 anni per ciascun Paese), che nel secondo trimestre del 2016 ha analizzato la percezione dei dipendenti sulla longevità professionale."I risultati del Workmonitor mostrano una certa tensione nel rapporto tra le diverse generazioni nelmercato del lavoro italiano - commenta Marco Ceresa, ad di Randstad Italia -. L'invecchiamento èvisto soprattutto come una permanenza forzata nel mondo del lavoro che penalizza l’occupazione dei più giovani e condiziona in negativo le performance aziendali. Ma di fronte a un fenomenoirreversibile come l'allungamento della vita dei lavoratori è fondamentale affrontare la questionegenerazionale con la giusta ottica, senza esasperazioni, mettendo in campo politiche a sostegnodell’invecchiamento attivo. Azioni che garantiscano una buona occupazione ai lavoratori in etaadulta, valorizzandone capacita e competenze, imparando a gestire l'esperienza come una risorsa e non un problema". Il 91% dei dipendenti italiani ritiene che l'invecchiamento della forza lavoro causerà una diminuzione della popolazione attiva. Riguardo a questa percezione, l'Italia è prima al mondo (media globale 68%), seguita da Cina (89%), Ungheria e Hong Kong (88%), Spagna (84%) e Polonia (83%).Il 52% degli italiani concorda che trattenere i lavoratori over 55 sia di fondamentale importanza per il successo dell'azienda (meno della media globale, pari al 56 %). Invece l'83% pensa che a questo scopo sia cruciale attrarre giovani (più della media globale, pari al 78%).Il 47% dei lavoratori ritiene che le prospettive di occupazione dei più anziani aumenteranno neiprossimi 5 anni (media globale 44%), mentre il 64% che cresceranno quelle dei giovani (meno della media, 69%).Pur se generalmente poco diffuse, le politiche attive in Italia privilegiano i più giovani. Il 45 % deidipendenti afferma che il datore di lavoro ha attivato azioni per attrarre e trattenere persone over55, per il 62% l'ha fatto per attirare i lavoratori più giovani.Per il 58% dei lavoratori italiani ridurre il divario di competenze tra i lavoratori è la priorità numero uno per il datore di lavoro, una percezione superiore alla media globale ed europea. E per il 72% il principale gap riguarda l'area Stem (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), nove punti percentuali in più della media globale, in sesta posizione al mondo in compagnia della Spagna.Molti lavoratori riconoscono anche che la differenza di conoscenze influisca pesantemente sulleperformance dell'impresa: per il 66% dei dipendenti lo skill gap è un problema reale per il datore dilavoro (+5% rispetto alla media globale). Ma il 79% dei dipendenti italiani crede anche che per i lavoratori più anziani sia più difficile acquisire nuove competenze: in questa speciale classifica, l'Italia si posiziona ai primi posti al mondo, dopo Cina, Spagna, Hong Kong e Giappone.Gli indici trimestrali del Randstad Workmonitor mostrano un buon dinamismo cheinfluisce positivamente anche sulle aspirazioni dei lavoratori. Rispetto al trimestre precedente cresce del 7% la fiducia di poter trovare un’altra occupazione uguale all'attuale nel breve periodo, espressa dal 53% dei lavoratori italiani, in particolare tra i maschi (+10%). Cresce del 6% la fiducia di trovare un lavoro diverso dall’attuale, che raggiunge il 48% degli italiani.Non si riduce il timore di perdere il lavoro attuale, dichiarato del 12% degli intervistati (contro il 9% del trimestre precedente), in particolare fra le donne (14% vs 10% degli uomini). Il 12% degli italiani è alla ricerca di un nuovo posto, più attive le donne (15% vs 9% maschile).Risale l'indice di mobilita periodico di ben sei punti dal primo trimestre 2016, con il24% degli intervistati che ha cambiato lavoro nell’ultimo periodo, dopo due trimestri di segnonegativo (+2% rispetto al -3% nel primo 2016 e -4% del quarto 2015).
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