sabato 20 maggio 2023
Il 61% consiglierebbe un impiego pubblico a parenti e amici perché qualificante e sicuro. Gli enti però sono ancora indietro nella valorizzazione delle risorse umane
Un dipendente pubblico al lavoro

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Secondo le stime pubblicate nel Report Fpa, i dipendenti pubblici in Italia sono circa 3,2 milioni, di cui il 16,3% ha più di 60 anni e solo il 4,2% è under 30. L’obiettivo è quello di raggiungere i quattro milioni entro i prossimi 5-6 anni, così da avvicinarsi agli attuali valori dei vicini Francia (5,7 milioni), Germania (cinque milioni) e Regno Unito (5,3 milioni). Inoltre, il governo ha imposto a tutte le pubbliche amministrazioni il rispetto del Piano integrato di attività e organizzazione, che prevede l’adozione di strategie mirate per l’ottimizzazione delle risorse umane. Nonostante le difficoltà e i pregiudizi, i dipendenti pubblici “promuovono” la Pa come datore di lavoro e ne riconoscono gli sforzi per essere inclusiva e moderna: una nuova immagine lontana da vecchi stereotipi che hanno contribuito a limitarne negli anni le potenzialità. Ma la funzione Hr nel settore pubblico è ancora troppo “burocratica” e legata a semplici compiti amministrativi, con molta strada da compiere nelle strategie di riconoscimento dell'ente e nelle metodologie avanzate di reclutamento. È quanto emerge dall’indagine realizzata da Fpa per Indeed - Attrarre talenti e valorizzare le persone: le strategie di employer branding nella pubblica amministrazione - che ha analizzato l’opinione di 1.289 dipendenti pubblici riguardo a cultura aziendale, valori, caratteristiche, miglioramenti da realizzare nella propria organizzazione. Inoltre ha indagato la maturità degli enti nelle strategie di promozione delle opportunità di lavoro e di valorizzazione dell’immagine aziendale attraverso una ricerca su 67 dirigenti delle risorse umane delle principali amministrazioni centrali, locali e società pubbliche italiane. «Come motore delle strategie di ripresa del Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza, la Pa deve attrarre nuovi talenti e professionalità, sviluppando una cultura dell’employer branding che promuova le opportunità di impiego e al tempo stesso valorizzi l’ente come organizzazione dinamica, flessibile e attenta alle persone - spiega Gianni Dominici, direttore generale di Fpa -. L’indagine rivela come la Pa sia sostanzialmente apprezzata come datore di lavoro, percepita vicina ai suoi lavoratori, sempre più moderna e inclusiva: un’immagine lontana dai classici stereotipi e più in linea rispetto al ruolo che è chiamata a svolgere nelle grandi sfide per il Paese. Ma questo mood deve tradursi in azioni più incisive per la valorizzazione e la promozione delle amministrazioni, che fanno ricorso in modo ancora troppo limitato a metodologie avanzate di recruiting e di employer branding». «Come azienda la cui mission è quella di aiutare le persone a trovare lavoro, abbiamo una visione unica del mondo del lavoro - commenta Ilaria Caccamo, managing director di Indeed in Italia -. L'employer branding è una sfida che molte aziende devono affrontare e per molte può essere difficile sapere da dove cominciare. Per il settore pubblico, l'employer branding è ormai un imperativo per competere nell'attrarre talenti. In un mondo in cui continua a esserci carenza di personale, i lavoratori si aspettano standard più elevati dai loro datori di lavoro, le organizzazioni devono essere in grado di comunicare non solo i benefici che offrono, ma anche i valori che li caratterizzano e ciò che guida la loro mission. Il settore pubblico sarà al centro di alcuni dei cambiamenti più entusiasmanti che l'Italia abbia visto negli ultimi decenni, Indeed può aiutare a connettere le persone in cerca di lavoro a far parte di questa prossima ondata di innovazione». «In un mercato del lavoro sempre più competitivo e fluido la Pa deve competere attivamente per attrarre e trattenere talenti - dice Mariano Corso, presidente e direttore scientifico di P4I-Partners4Innovation e co-fondatore del gruppo Digital360 -. Ciò vuol dire offrire non soltanto retribuzioni e benefit allineati al mercato e contratti stabili e di qualità, ma anche buoni livelli di flessibilità, opportunità di sviluppo professionale e modelli di valutazione e carriera meritocratici. Solo così la Pa italiana potrà disporre del capitale umano indispensabile a quel profondo rinnovamento a cui il Paese oggi la chiama». Nel giudizio dei dipendenti pubblici emerge un sentiment positivo sulla Pa come datore di lavoro: sei lavoratori su dieci (61%) consiglierebbero a parenti e amici un impiego futuro nel pubblico. Le motivazioni sono differenti e si dividono equamente tra chi lo consiglierebbe perché lo ritiene professionalmente qualificante (37%) e chi evidenzia soprattutto sicurezza e stabilità occupazionale (36%). Solo il 27% la vede un’alternativa di lavoro al pari di altre. Buona parte dei dipendenti pubblici definisce la propria organizzazione un luogo “inclusivo” (40%) o comunque ne riconosce gli sforzi intrapresi per renderla tale (24%). Poco più di un quarto (27%) ritiene il proprio ente “moderno” rispetto all’uso del digitale e poco meno della metà (46%) pensa che stia lavorando per diventarlo. Un quarto (il 25%) considera la Pa “formativa”, grazie a processi innovativi di formazione e tecniche di on-boarding delle nuove leve. Ma ci sono anche giudizi negativi: solo l’11% dei dipendenti pubblici vede la sua organizzazione semplice ed efficiente, solo il 16% la considera “sostenibile”. Più in generale, c’è una percezione diffusa che la direzione personale sia ancora legata a modelli “burocratici”, poco allineata alle trasformazioni sociali, culturali ed economiche in atto: per il 72% la funzione Hr della sua organizzazione è ancora troppo orientata allo svolgimento di compiti amministrativi, con poca attenzione all’attrazione, all’acquisizione e al mantenimento in azienda dei profili più brillanti. A ogni modo, il 47% dei dipendenti pubblici riconosce lo sforzo promosso dalla direzione Hr nella conoscenza delle dinamiche di funzionamento dell’ente (47%), nella partecipazione ai processi di digitalizzazione (44%) e nelle iniziative per la formazione, anche attraverso soluzioni innovative (42%). Ma i lavoratori propongono più azioni di empowerment, principalmente attraverso percorsi di crescita professionale legati al merito (42%). Dall’altro lato, nell'indagine sui dirigenti al personale, emerge un ricorso ancora limitato a metodologie avanzate di recruiting ed employer branding nel settore pubblico. Si evidenzia, infatti, una certa reticenza a pubblicizzare le nuove opportunità lavorative con strumenti diversi rispetto a quelli previsti dalla normativa di settore: solo 27 amministrazioni su 67 utilizzano altri canali, soprattutto i social network (23 enti li usano con finalità di recruiting), molti meno ricorrono ai portali di incontro domanda-offerta di lavoro (9). Solo 21 enti su 67 hanno svolto attività di employer branding negli ultimi due anni. Soprattutto campagne di comunicazione sui social network (utilizzate da 17 organizzazioni su 21), oppure sezioni specifiche del portale istituzionale dell’ente dedicate alle carriere (14 enti) e partecipazione a career day o job day promossi da Università, centri di ricerca o aziende (9). Tuttavia, i direttori del personale riconoscono l’importanza di queste attività, ritenuta prioritaria per tre quarti dei rispondenti (50 dirigenti su 67): questo giudizio fa presupporre che nel prossimo futuro le organizzazioni pubbliche possano attrezzarsi per sviluppare strategie mature che sappiano valorizzare al meglio l’immagine della Pa rispetto ai nuovi potenziali lavoratori, rendendosi appetibili per le professionalità innovative di cui il settore pubblico ha bisogno.

Più concorsi, ma due vincitori su dieci rinunciano

Il lavoro pubblico perde fascino: nell'ultimo biennio si sono presentati ai concorsi 40 candidati per ogni posto a fronte dei 200 nel biennio precedente, mentre tra i vincitori due su dieci rinunciano al posto, percentuale che sale al 50% per i contratti a termine. La ricerca di personale nel comparto pubblico è ripartita - sottolinea uno studio presentato al Forum Pa - ma c'è forte concorrenza con il settore privato per attirare soprattutto i profili tecnici. Nel complesso i lavoratori pubblici sono aumentati nel 2022 dello 0,8% arrivando a quota 3.266.180, al livello più alto dell'ultimo decennio. Entro dieci anni però andranno in pensione circa un milione di lavoratori e il reclutamento di personale adeguato e motivato sarà centrale per la Pa a partire dalla realizzazione del Pnrr. «L'obiettivo per il 2023 - ha detto il ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo - è l'entrata nel settore di 170mila persone. Se vogliamo far diventare la pubblica amministrazione il più grande employer del Paese, occorre mettere in campo una cosiddetta strategia di employer branding, che pensi al futuro dipendente come una risorsa da attrarre. Dobbiamo fare in modo che la Pa diventi una grande opportunità per tutti i giovani, soprattutto per quelli talentuosi che spesso vedono nel pubblico un posto polveroso e poco dinamico, dove le competenze invecchiano velocemente, la carriera è un miraggio e si rischia di rimanere intrappolati». L'aumento delle selezioni e la possibilità di scelta per i candidati di più posizioni, spiega la ricerca, spinge sempre meno persone ad accettare il trasferimento al Nord, dove l'affitto impegna quasi il 50% dello stipendio di un laureato neoassunto, contro il 18-23% in una città metropolitana del Sud. «L'indagine evidenzia per il settore pubblico alcuni effetti della trasformazione del mercato del lavoro già emersa nel privato - ha affermato Carlo Mochi Sismondi, presidente di Fpa - da un lato, oggi i lavoratori danno meno importanza al 'posto fisso' in favore di aspetti come benessere, motivazione, formazione o lavoro agile. Dall'altro, in una scarsità di personale qualificato, si evidenzia una nuova competizione tra pubblico e privato sui profili tecnici e tra amministrazioni, a causa dell'ingorgo di concorsi». E se nel 2022 cresce la spesa totale per i redditi da lavoro dipendente nella Pa, circa 187 miliardi di euro (contro i 177 del 2021), è invece in calo la spesa pro-capite per il reddito dei dipendenti (calcolata a prezzi costanti del 2022, depurata dall'inflazione) che risulta la più bassa dal 2015 con 57,2mila euro, rispetto ai 59mila euro del 2021. Il presidente dell'Aran Antonio Naddeo ha sottolineato che la retribuzione media annua lorda dei funzionari pubblici (ministeri, funzioni locali e agenzie fiscali) è stata di 31,7 mila euro, a fronte di 30,8mila euro per gli impiegati con funzioni sovrapponibili nel privato. Nel 2021 gli assunti per concorso sono stati oltre 150mila, ma l'8,6% era già un dipendente pubblico. Nel 2022 gli assunti sono stati circa 157mila. Le ricerche cresceranno nel 2023 e dal 31 maggio avranno come unico canale per la pubblicazione dei bandi il portale Inpa.

Il nodo dei rinnovi contrattuali

«Le retribuzioni di ingresso nella pubblica amministrazione non hanno nulla da invidiare a quelle di ingresso nel settore privato a partire da quelle degli studi professionali». Lo ha detto Zangrillo. «Sul tema dell'attrattivita dell'amministrazione dal punto di vista retributivo - riferisce ancora il ministro - dobbiamo cercare di correggere la narrazione. Detto questo c'è un problema di salari che riguarda l'Italia. Deve passare attraverso la capacità di garantire una produttività che sia al pari dei competitor internazionali. Il tema retributivo ce l'ho ben presente. L'ultimo rinnovo contrattuale, quello riferito al 2019-21 l'ho firmato io. Per la nuova tornata contrattuale 2022-24 ho voluto postare nella legge di Bilancio una tantum come segno di attenzione verso la necessità di procedere al rinnovo dei contratti. Il Def contiene un passaggio sulla necessità di garantire le risorse per i rinnovi contrattuali. Dobbiamo trovare le risorse per avviare i rinnovi e dobbiamo farlo con senso di responsabilità. Il nostro Paese ha un debito pubbblico elevatissimo. Mi auguro e penso che la situazione del Paese migliori. Penso ci siano le condizioni per reperire le risorse e avviare i rinnovi». Priorità quindi all'equilibrio dei conti pubblici e sostegno all'economia italiana, sfruttando fino in fondo le risorse del Pnrr e con un occhio di riguardo al mondo della libera professione. Si muove lungo questi due binari anche Confprofessioni. «Un'occasione per mettere a fuoco le linee programmatiche della politica economica del governo Meloni nei prossimi anni, ma anche per sottolineare i temi che toccano da vicino i professionisti, a cominciare dalla riforma del fisco, dai salari e dal riordino degli incentivi - sottolinea il presidente di Confprofessioni Gaetano Stella -. Le misure per il riordino del sistema amministrativo e fiscale offrono l'opportunità per ripensare in modo più efficace i rapporti di cooperazione tra amministrazione e professioni. Sul fronte della semplificazione, della riforma della giustizia e della modernizzazione della Pa, sarà infatti prioritario prevedere modelli di maggiore integrazione tra amministrazione e professionisti, in una prospettiva di piena attuazione del principio di sussidiarietà». In quest'ottica, il giudizio della Confederazione sulle misure contenute nel Def è sostanzialmente positivo, anche se da rivedere in alcune misure. Sul fronte delle misure a sostegno dei salari, Stella rilancia la proposta di detassare gli aumenti salariali concordati tra le parti sociali in occasione dei rinnovi contrattuali: «Si tratta di un intervento per adeguare i redditi dei lavoratori dipendenti rispetto all'andamento dell'inflazione, tenendo conto però delle condizioni di incertezza in cui versano i datori di lavoro».


L'intelligenza artificiale a servizio della Pa

Per facilitare il compito di implementazione di politiche per la gestione del capitale umano nella Pa, Hrcoffee, Hr-Tech Company pugliese attiva nella consulenza strategica in ambito risorse umane per piccole e medie imprese, grandi aziende e Pa che mirano ad assumere, impiegare e motivare in modo efficiente il personale per il raggiungimento degli obiettivi individuali, di squadra e aziendali, consiglia di utilizzare l’intelligenza artificiale e in particolare i People Analytics. «La gestione dei contratti di lavoro, l’attribuzione delle responsabilità, la definizione degli obiettivi e la creazione di percorsi di crescita nella Pa presentano delle criticità rispetto al settore privato. Il sistema pubblico, infatti, è più complesso e il personale ne rappresenta uno tra i principali fattori di successo - sostiene Maria Cesaria Giordano, ceo di Hrcoffeee -. Risulta quindi evidente l’importanza della creazione di una rinnovata funzione di gestione del personale e delle politiche di sviluppo delle risorse umane e dell’organizzazione, attraverso il supporto dell’intelligenza artificiale e l'utilizzo dei dati, che consentono di conoscere esattamente le persone che abitano l’organizzazione, di scoprirne le loro capacità, di valutarle e di intercettarne i bisogni e le esigenze più profonde, in modo più rapido ed efficiente». L’utilizzo dei People Analytics per la gestione delle risorse umane nelle Pa rappresenta un’importante svolta di innovazione e cambiamento, nonché una potenziale leva di miglioramento della qualità del servizio proposto. L’intelligenza artificiale e l’analisi dei dati consentono, infatti, di conoscere e valorizzare le competenze e le abilità dei propri dipendenti, contribuendo a costruire un’organizzazione attenta alle proprie persone e capace di trattenere ed attrarre nuove e talentuose risorse. I People Analytics permettono di individuare e mappare abilità, esperienze, capacità, hard e soft skill, interessi, bisogni e desideri di ciascun dipendente: tutte informazioni preziose per attivare percorsi di crescita e formazione personalizzati, piani di condivisione del sapere, programmi di benefit ed engagement delle persone che abitano l’organizzazione, creare team di lavoro o bandire nuovi concorsi. «Siamo convinti che, così come le aziende, anche la Pa debba abbracciare lo sviluppo di un nuovo modello di gestione del capitale umano attraverso una cultura che migliori gli standard lavorativi, rendendoli smart e al passo coi tempi. I vantaggi che ne derivano sono tangibili e consistono non solo nella comprensione dello stato attuale dell’organizzazione e del grado di conoscenze e competenze presenti e necessarie ma anche una considerevole riduzione del tempo investito per svolgere attività routinarie, tempo che potrebbe essere impiegato, ad esempio, per un altro task lavorativo. In questo modo, le Pa saranno in grado di trattenere e attrarre i talenti e migliorare il servizio offerto», conclude Giordano.


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