Gli antichi greci avevano un principio: che esistesse una diretta corrispondenza tra ciò che è bello e ciò che è buono e che la saggezza, la giustizia, il coraggio, si esprimessero attraverso idee di armonia e di proporzione. Questa identità di virtù la definivano con un termine preciso: Kalos kai agathos.
Quasi parafrasando il “bello e buono” degli antichi, un gruppo di eccellenze italiane del tessile ha lanciato l'8 maggio Slow Fiber, progetto/network che punta a creare prodotti “belli, buoni, sani, giusti e durevoli” ponendosi in aperta opposizione al fast fashion con il suo modello di produzione “intensiva”, in cui la quantità prevale sulla qualità.Gli effetti dannosi sull’ambiente della “moda veloce” sono, peraltro, ampiamente dimostrati. Il tessile è ormai il quarto settore più inquinante d’Europa e l’impatto che registra sull’ambiente è devastante in quanto a perdita di biodiversità, esaurimento delle risorse naturali, quantità di rifiuti prodotti (ogni anno nel Vecchio Continente vengono buttati quasi 6 milioni di tonnellate di tessuti, l’equivalente di 11 chili a persona, ndr). Inoltre, l’industria tessile è gravemente coinvolta nella deforestazione amazzonica ed emettendo gas serra è tra quelle che maggiormente incidono sul cambiamento climatico.
Nata dall’incontro tra Slow Food Italia e sedici aziende tessili virtuose, l’obiettivo di Slow Fiber è il cambio in positivo del paradigma della produzione e del consumo tessile, la diffusione della consapevolezza dei modi in cui vengono realizzati i prodotti e, di conseguenza, del suo valore: si muove, quindi, in perfetta sintonia con le strategie messe in atto dalla Ue (con la recente campagna “ReSet the Trend”, ad esempio) allo scopo di creare un nuovo modo di fare e di intendere il fashion. Un modo più pulito, più etico, che si avvale della produzione e dell’utilizzo di fibre e di capi durevoli, riparabili, riciclabili, privi di sostanze pericolose, rispettose dei diritti umani e dell’ambiente. A maturare l’idea è stato Dario Casalini, ex Assistant Professor di Diritto Pubblico all’Università degli Studi di Torino e da qualche anno Ceo della storica azienda di famiglia, la torinese Oscalito, che produce abbigliamento con fibre 100% naturali, riciclabili e biodegradabili. Secondo Casalini, esiste un parallelismo tra il cibo e il tessile: entrambi, infatti, provengono dalle risorse della terra. «A partire dalle fibre possiamo perciò considerare il tessile strettamente legato all’agricoltura, e come il settore agroalimentare, anche il mondo dell’abbigliamento (e dell’arredamento) dovrebbe operare per la tutela della biodiversità».
Ma se per una bottiglia di buon vino, è la convinzione dell’imprenditore piemontese, siamo disposti a spendere anche 25 euro, «per un capo di intimo realizzato con filato certificato e a chilometro zero, no. Purtroppo non riusciamo a dare la giusta importanza al tessile: eppure, se è vero che mangiamo tre volte al giorno, è anche vero che siamo a contatto con il tessile 24 ore su 24». «Due anni fa ho parlato di tutto questo con il fondatore e presidente di Slow Food, Carlo Petrini, a cui ho lanciato l’idea di pubblicare un libro che avevo in mente di scrivere. Lui, con il suo entusiasmo contagioso, mi ha risposto: “Io te lo pubblico, ma tu poi mi devi creare un movimento dentro Slow Food”. E’ così che nel 2021 è uscito per Slow Food Editore, “Vestire buono, pulito e giusto. Per tornare a una moda sostenibile”, e nel 2022 è nato il movimento Slow Fiber, che abbiamo presentato a Torino durante il Salone del gusto-Terra Madre». Casalini ammette che le iniziative del settore tessile sul tema della sostenibilità sono tante – «l’argomento è un trend» - : tuttavia, riconosce che per raggiungere l’obiettivo, il nuovo progetto non deve fare troppe cose, ma queste “poche”, deve farle seriamente. «Non possiamo eliminare il consumismo ma possiamo modificarne il corso, coniugando l’estetica, l’etica e la qualità della vita, attraverso consumi più consapevoli di prodotti sani, puliti, giusti e durevoli. Come abbiamo scritto nel nostro manifesto, soltanto una crescente domanda di tali prodotti può innescare un cambiamento nelle strategie industriali dei produttori, applicando i principi dell’economia circolare».
Sono sedici, per il momento, le aziende italiane che vi hanno aderito (oltre ad Oscalito, L’Opificio, Quagliotti, Remmert, Pettinatura Di Verrone, Tintoria 2000, Angelo Vasino Spa, Olcese Ferrari, Tintoria Felli, Manifattura Tessile Di Nole, Holding Moda, Lane Cardate, Italfil, Pattern, Maglificio Maggia, Vitale Barberis Canonico) ma Dario Casalini auspica che presto se ne aggiungano delle altre: «Ci auguriamo di collaborare con tutte le aziende che sposano (o che intendono sposare) la nostra filosofia».Oltre che sulla vision e sull’entusiasmo, la forza di ogni progetto si basa, però, anche sul realismo. E questo, il patron di Slow Fiber, lo sa bene. «Certo, sono consapevole che non sarà un cammino interamente in discesa – serve coraggio: andiamo contro interessi consolidati - e che dovremo far fronte ad alcune grandi questioni. Una tra queste, e forse la più importante, verte sul prezzo dei nostri prodotti: per acquistarli, infatti, bisognerà spendere un po’ di più. Non vogliamo certamente far parte della filiera del lusso ma puntare ad un prezzo adeguato al modo in cui il prodotto è stato realizzato: ripeto spesso che esiste il ristorante stellato ma esiste anche l’osteria che propone cibi e vini prodotti e lavorati in una determinata maniera, rispettando cioè l’ecosistema, la salute, la bellezza e la cultura di un territorio, valorizzando la filiera oltre, naturalmente, alla qualità del lavoro, alla dignità e alle competente maestria di chi lo svolge. Ecco, restando in questa metafora, quell’osteria siamo noi».