martedì 17 ottobre 2023
Il presidente in auduzione alla Camera: mancano i soldi per la caparra di 100 milioni. Venerdì sciopero indetto dai sindacati confederali. Benaglia (Fim-Cisl): basta perdere tempo
Bernabé: Acciaierie d'Italia rischia di restare senza gas

Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

"C'è il rischio imminente di un'interruzione della fornitura di gas ad Acciaierie d'Italia" a dirlo il presidente Franco Bernabè, in audizione presso la commissione Attività produttive della Camera. "Serve un downpayment (una caparra, ndr) di circa 100 milioni al fornitore. Questo pagamento la società non è in grado di farlo - ha detto - . Il servizio di fornitura del gas in regimi di default di cui Accierie beneficia in questo periodo è destinato a concludersi a brevissimo. Sarà sostituito da una fornitura commerciale che la situazione finanziaria dell'azienda rende estremamente difficile".

Ma è tutto il quadro economico ad essere ai limiti dellla crisi. "Il quadro di sostegno e attenzione socio-pubblico per rendere realizzabile il piano di decarbonizzazione ha trovato un ostacolo nella difficoltà di Acciaierie ad accedere a forme di finanziamento di mercato. Avendo l'accordo tra gli azionisti una durata limitata, la società ha una scadenza e il sistema bancario non affida ad Acciaierie d'Italia. Parliamo di una società che ha oltre 3 miliardi di fatturato con un fabbisogno di circolante minimo pari a circa 2 miliardi" ha detto Bernabè in audizione. Senza accesso al credito bancario la società si spegnerà per consunzione. Bernabè ha ribadito che il governo sta cercando di creare le condizioni per un rilancio della società, attraverso un ruolo strategico del partner privato, ma serve un'accelerazione perché non c'è più tempo da perdere. "Bene fa il ministro Fitto a ingaggiare questa trattativa per avere finalmente visibilità sulle intenzioni di lungo periodo del socio ArcelorMittal. Non ho elementi per poter dire se avrà successo, ma è un tentativo che andava fatto. La società ha problemi urgentissimi che vanno affrontati immediatamente, destinandole i soldi che sono necessari a sopravvivere" ha concluso Bernabé.

Il futuro dell’ex Ilva ancora una volta è avvolto da una nebbia fitta. Il governo Meloni lavora ad un nuovo negoziato con ArcelorMittal ma al momento non ci sono garanzie sui fondi che il socio privato è disposto a mettere sul tavolo per il piano decennale da 5,5 miliardi di euro che dovrebbe portare alla produzione di acciaio “verde” con forni elettrici. A parlare di una “situazione di stallo” tre settimane fa è stato lo stesso presidente di Acciaierie d’Italia (la holding attualmente detenuta al 38% da Invitalia e al 62% dal, il colosso dell’acciaio che cinque anni ha acquisito l’Ilva) Franco Bernabè, nominato dal socio pubblico di minoranza. I sindacati sono sul piede di guerra: lo scorso 27 settembre al Mimit hanno chiesto chiarezza sul futuro dell’acciaieria e in assenza di risposte continuano la protesta con una settimana di mobilitazione, iniziata ieri con assemblee e presidi davanti alle prefetture, che si concluderà venerdì con uno sciopero di 24 ore e una manifestazione davanti a Palazzo Chigi. Fim, Fiom e Uilm parlano di una “situazione grave” in cui versano gli impianti e i lavoratori e chiedono di risolvere una volta per tutte la vertenza, garantendo produzione, occupazione e sicurezza e rilanciando la siderurgia italiana. L’unica strada percorribile per i metalmeccanici è un immediato cambio di governance, con il passaggio della maggioranza in mano pubblica, fissato per l’aprile del 2024, ma di fatto accantonato dal governo, o in alternativa l’ingresso di altri soci privati. Da qui la richiesta di un maggior coinvolgimento nelle decisioni per evitare che si perda altro tempo prezioso.


«La situazione è molto grave, per questo torniamo a scioperare dopo neanche un mese dall’ultima mobilitazione – spiega Roberto Benaglia, segretario generale della Fim Cisl -. Nessuno degli obiettivi per il 2023 che il governo aveva indicato nove mesi fa è stato raggiunto a partire dalla produzione che fa fatica ad arrivare ai tre milioni di tonnellate. Sono in funzione solo due altoforni, le aziende dell’indotto soffrono per i mancati pagamenti, la sicurezza degli impianti è messa a dura prova dalla mancanza di manutenzione e si fa un uso massiccio degli ammortizzatori sociali con 3600 lavoratori in cassa integrazione su un totale di 11mila, senza considerare i 1500 in amministrazione straordinaria che sono stati abbandonati da cinque anni». Nonostante i 680 milioni messi sul tavolo dal governo per rilanciare l’ex Ilva la situazione non cambia e il futuro appare più che mai incerto. «Non facciamo catastrofismo, ma così non si può più andare avanti - continua Benaglia -. Al governo chiediamo di non fare trattative segrete con il socio privato ma di essere coinvolti. Leggiamo sui giornali ipotesi catastrofiche di liquidazione o amministrazione straordinaria della società che vorrebbero dire far morire gli stabilimenti e mandare in fumo ventimila posti di lavoro tra i dipendenti dell’ex Ilva e quelli dell’indotto».

Il nodo della questione secondo la Cisl è l’affidabilità di ArcerolMittal che non dà risposte e si limita a prendere tempo e soldi pubblici. «Il governo deve forzare la mano e stanare il socio privato - sottolinea il segretario della Fim -. Stare fermi ci fa precipitare, serve un rilancio con un partner privato che garantisca la certezza degli investimenti. Il nostro è l’unico Paese in cui lo Stato mette i soldi, Mittal sta a guardare e la situazione peggiora. Certo non siamo noi che scegliamo gli interlocutori ma va trovata una situazione...». A preoccupare in particolare il passo indietro del governo che nell’ultimo incontro avrebbe escluso l’eventualità che lo Stato diventi azionista di maggioranza con il 60% delle quote. «Sino alla scorsa primavera il ministro Urso sosteneva che questo sarebbe avvenuto nell’aprile del 2024 ma nell’ultimo tavolo questa ipotesi non è stata nemmeno presa in considerazione - spiega Benaglia -. A questo punto il governo deve scoprire le carte: vedere se Mittal c’è, e in alternativa cercare altre soluzioni. Nel 2023 si è raggiunto il minimo storico di produzione: con i Riva si producevano oltre 10 milioni di tonnellate, nel 2018 sei milioni, adesso si arriva a stento a tre milioni».

Il piano industriale da 5,5 miliardi di investimenti, prevede l’avvio di forni elettrici tra cinque-sei anni ma anche interventi nel breve periodo per garantire la produzione che adesso è ridotta per la chiusura dell’Altoforno 5 ormai da anni e dell’Altoforno 1 dallo scorso agosto. «Importare acciaio sarebbe un grande autogoal per l’Italia. Acciaierie d’Italia ha già perso un’occasione nel 2021 quando tutte le aziende della siderurgia hanno avuto risultati eccezionali e la stessa Mittal ha prodotto molto di più negli altri stabilimenti che possiede in Europa - conclude Benaglia -. Oggi si assiste ad un rallentamento globale della siderurgia che resta comunque uno dei pilastri dell’industria. L’Italia non può permettersi per incapacità politica di perdere un patrimonio come l’ex Ilva».

© riproduzione riservata

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI