venerdì 29 aprile 2011
Lavorare oppure no? Nelle grandi città negozi aperti. Sindacati in piazza. E spuntano gli scioperi per protesta. Confcommercio: cambiati gli stili di vita, è giusto che gli esercizi commerciali si adeguino. Confesercenti: no, ormai le deroghe sul territorio sono troppe.
- L'ANALISI Quel "valore essenziale" del riposo settimanale
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Sarà un primo maggio di lavo­ro. Ma forse anche il primo in cui si sciopera. A Milano e Fi­renze, dove lo scontro sull’apertu­ra dei negozi durante la festa non ha trovato finora soluzioni, i sinda­cati del commercio hanno confer­mato la protesta. La «querelle» del primo maggio, che quest’anno ca­de pure di domenica, coinvolge e divide trasversalmente il Paese: è ancora la festa del lavoro o solo u­na festività lavorata, come sempre più spesso accade nell’anno? Nel­l’Italia dei litigi no-stop anche que­sto è diventato motivo di scontro, forse meno banale di altri. Conta più la libertà 'di' shopping, in no­me del mercato, o quella 'dallo' shopping, in nome di valori non monetizzabili? Gli schieramenti so­no divisi. A cominciare da quello dei sindaci, che sul territorio han­no adottato decisioni diverse, per arrivare alle parti sociali e alla po­litica. Tanto che oggi, solo poche o­re prima della festività contesa, il sindaco di Torino Ser­gio Chiamparino ha convocato in qualità di presidente dell’Anci i sindacati e le associazioni di categoria. Si pun­ta a trovare in extremis «soluzioni condivise tra tutte le parti». Da parte sua il ministro del Lavoro Maurizio Sac­coni chiede «duttilità» nel commercio e dà via libera ai negozi aperti nel giorno di festa, a patto cha si tratti «del­l’eccezione che conferma la regola» del riposo.Chi apre e chi no. Negozi aperti a Milano, dove comanda il centrodestra di Letizia Moratti, e nella Firenze guidata dal rottamatore Pd Matteo Renzi. Aperture limitate al solo centro storico a Roma, teatro quest’anno di un e­vento come la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II, oltre che del tradizionale concertone del primo mag­gio. Decisione analoga a Torino, dove si celebrano i 150 anni dell’Unità. Negozi chiusi a Bari, Genova e Perugia. A Napoli la decisione di alzare le saracinesche è affidata alle singole organizzazioni dei commercianti nei di­versi quartieri, cumuli di spazzatura permettendo. Imprese e sindacati. Le associazioni nazionali del commercio non parlano la stessa lingua. Confcom­mercio si schiera per la festa lavorata, Confesercenti è molto più cauta. «È il mutamento degli stili di vita e di consumo delle famiglie a sospingere la richiesta di apertura», sostiene il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli ricordando anche la necessità di con­trastare «la persistente stagnazione» dei consumi. I cugini di Confersercenti rilevano invece che le dero­ghe per lavorare dovrebbero essere limitate mentre «si è fin troppo largheggiato e ormai la stragrande mag­gioranza dei Comuni è classificata come turistica con conseguente abbuffata di aperture domenicali». Le divisioni nel settore riflettono anche le esigenze dif­ferenti tra grandi e piccoli esercizi. Per le piccole strut­ture la giornata di lavoro in più ha senso solo in pre­senza di una «vivacità» festiva del quartiere mentre i big hanno comunque una loro attrattività. Tra i sin­dacati, la Cgil ha alzato la bandiera del diritto alla fe­sta senza se e senza ma. Mentre la Cisl chiede solu­zioni concertate e boccia i sindaci decisionisti, come Renzi e Moratti, che hanno fatto tutto da soli. «La for­mula corretta sarebbe quella di incontrare le parti per tempo e preparare un piano per il commercio tenen­do conto degli specifici bisogni del territorio, dei la­voratori e dei cittadini», spiega Anna Maria Furlan se­gretario confederale Cisl, augurandosi che sia «l’ulti­ma volta che viene organizzato un vertice l’ultimo giorno». Il numero della Cgil Susanna Camusso ac­cusa chi gioca la carta della crisi per sostenere la necessità di lavo­rare: «È assolutamente strava­gante in tutta questa polemica so­stenere che il calo dei consumi nel nostro Paese sia determinato dal fatto che non si aprano i negozi nei 5 giorni festivi dell’anno. La crisi è determinata dal fatto che ci sono sempre meno risorse».I casi Milano e Firenze. Nel miri­no della Camusso soprattutto i sindaci delle due città che si sono più esposti per le aperture. Di fatto è stato il sindaco Renzi ad aprire la querelle, dando libertà di scelta ai commercianti in nome di un migliore accoglienza dei turisti. Una decisione contrastata dai sindacati e con­testata a sinistra anche se c’è chi ricorda che il padre della liberalizzazione degli orari commerciali è il lea­der del Pd, l’ex ministro Pierluigi Bersani. Sulla linea di Renzi si è subito attestata Letizia Moratti a Milano. Qui i sindacati contestano al sindaco di avere cam­biato idea sul primo maggio rispetto al piano concor­dato nel novembre scorso. Così hanno proclamato lo sciopero, come in Toscana. Oggi al vertice si capirà se c’è ancora spazio per la mediazione.
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