giovedì 18 maggio 2023
Le pecche del decreto che si è inventato la categoria dei "poveri occupabili" e che scarica sui singoli l'onere dell'inserimento lavorativo.
Poveri penalizzati e lavoro svilito: così si fa un balzo all'indietro

CC Pexels

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Avevamo appena rimediato all’anomalia europea di non avere una rete minima di sicurezza per i più poveri che quella realtà è già crollata. Nonostante l’evidenza dei dati, dal primo maggio – grazie a un decreto ironicamente chiamato “Lavoro” – non solo siamo tornati a una protezione categoriale, ma ci troviamo avvolti in una nuova, subdola e cattiva campagna di attacco ai poveri, di finte divisioni fra buoni e cattivi, di ostinata cecità di fronte alle condizioni sociali ed economiche che generano povertà.

E dire che solo il 30 gennaio scorso il Consiglio Europeo aveva firmato la Raccomandazione che attribuisce a un reddito minimo adeguato un ruolo indispensabile non solo per uscire dalla povertà e dall’esclusione, ma anche per favorire una ripresa sostenibile e inclusiva e società più eque e coese. Tre mesi dopo, il governo italiano sceglie tutt’altra direzione, inventandosi una nuova categoria, unica in Europa: quella dei poveri “occupabili”. Attenzione: nello schema, sono occupabili coloro che, in età da lavoro, non hanno figli né disabili o persone non autosufficienti a carico.

La vicinanza al mercato del lavoro, classica variabile utilizzata per valutare l’occupabilità, non trova alcuno spazio. Ai poveri occupabili, “non meritevoli”, il sostegno è ridotto a 350 euro, la durata a 12 mesi ed è negato qualsiasi aiuto per la casa. In questi 12 mesi, gli occupabili sono obbligati ad accettare qualsiasi lavoro a tempo indeterminato, in tutto il Paese, anche se part time. Non importa se l’impiego abbia una retribuzione del tutto insufficiente a finanziare lo spostamento dell’eventuale famiglia.

Parallelamente il decreto peggiora la vita anche ai nuclei famigliari “meritevoli” del sostegno. Innanzitutto, gli eventuali componenti della famiglia che sono abili al lavoro, e ne hanno l’età, non rientrano nella scala di equivalenza: è come se non incidessero sul bilancio familiare, ma sono comunque sottoposti agli obblighi imposti dalla misura, che verranno stabiliti dai servizi sociali e dai centri per l’impiego, pena la sospensione del beneficio per tutto il nucleo. Va peggio di prima per le famiglie numerose. Poi pare ancora troppo bassa la soglia indicata per rendere compatibile il cumulo tra il sostegno e il reddito percepito in caso di lavoro (3.000 euro annui). Bisognava invece consentire una cumulabilità maggiore così da garantire la costruzione di una base economica solida, che permetta l’uscita dal programma e dalla povertà nel giro di uno o due anni.

L’impressione è che il decreto faccia ricadere sui singoli percettori l’onere dell’inserimento lavorativo. Non ci si occupa della domanda di lavoro, né della domanda e ristrutturazione dei programmi di formazione professionale, in molte istanze assai carenti, né ancora di ascoltare la voce dei poveri. Neppure alcuna risorsa finanziaria in più è prevista per sostenere la ricerca dell’occupazione; il limite delle risorse vigenti disponibili è anzi più volte ribadito. E mentre diminuiscono le protezioni al reddito, si peggiora purtroppo anche la qualità dei lavori disponibili. Non solo non si prospetta alcuna speranza di salario minimo, ma si liberalizzano i contratti a tempo determinato e si amplia l’utilizzo dei voucher in tutti quei settori in cui il lavoro povero è molto diffuso. Già innalzati da 5 a 10mila euro nella legge di bilancio, i voucher arrivano ora a 15mila euro, un importo competitivo con le basse retribuzioni, che però, almeno, sono associate alle protezioni standard del lavoro. I voucher no.

Rilevando la complementarità tra spesa per il welfare e caratteristiche del mercato del lavoro, Barth e Moene coniarono il termine «moltiplicatore dell’uguaglianza»: più generoso lo Stato sociale, minore la disuguaglianza nel mercato del lavoro, grazie al rafforzamento in esso dei gruppi deboli. Le manovre passate proprio nel giorno della Festa del Lavoro vanno esattamente nella direzione opposta, penalizzando i poveri e svilendo il lavoro.

*Forum Disuguaglianze e Diversità

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