domenica 5 marzo 2023
Conoscono le regole, sono interessati alla formazione e hanno un buon rapporto con il sindacato: l’indagine “Lungo cammino verso la dignità” sfata molti luoghi comuni sui collaboratori domestici
Per colf e badanti l'irregolarità è anche frutto dei troppi cavilli
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Siamo abituati a vederle girare nelle nostre case con spolverino e scopa in mano o dando il braccio ai nostri cari anziani. Spesso provengono da Paesi lontani, sono qui per inviare alle loro famiglie a casa i soldi o per costruirsi da noi un progetto di vita migliore. Ma quale è davvero la condizione delle lavoratrici e dei lavoratori domestici in Italia? A tentare di rispondere è un’inchiesta sul mondo del lavoro domestico in Italia, confluito nel volume “Lungo cammino verso la dignità”, realizzata dai sociologi Francesco Antonelli, Santina Musolino ed Emanuele Rossi insieme al presidente della Fondazione Padre Erminio Crippa e legale nazionale Federcolf Emanuele Montemarano. Un’analisi che, attraverso un viaggio per “piccole storie”, sfata anche qualche luogo comune. Primo fra tutti il fatto che le lavoratrici migranti abbiano un basso livello culturale e che non siano consapevoli dei propri diritti. In realtà è vero il contrario, soprattutto tra quelle più avanti con gli anni, che hanno anche sviluppato «un rapporto più consolidato e duraturo con il sindacato».

Come viene spazzato via il pregiudizio che le stesse lavoratrici non siano impegnate in percorsi di formazione professionale. Tutt’altro. Proprio la formazione viene vista da colf e badanti come il modo «per trovare un lavoro regolare e meglio retribuito». Ecco perché quasi il 70% degli intervistati dichiara di aver seguito un corso di formazione. Sono principalmente tre le conclusioni a cui arriva l’indagine. Prima fra tutti il fatto che l’area di irregolarità, o nei casi migliori, di lavoro grigio in cui le lavoratrici domestiche sono «intrappolate» è spesso dovuta alle storture del nostro mercato del lavoro più che alla necessità o alla non conoscenza dei propri diritti. Il 75% delle intervistate, infatti, conosce il significato di una lettera di assunzione, il 62% sa l’inquadramento a cui avrebbe diritto e il 53% conosce la Cassa colf. Altra evidenza inoltre è che il tasso di regolarità è molte volte legato alla tipologia del lavoro, più alto tra le badanti e meno tra le “colf ad ore”.

Terza conclusione è che il contesto territoriale assume un «ruolo determinante», nel senso che le condizioni più favorevoli di lavoro vengono riscontrate nei mercati del lavoro del Nord Italia, mentre la situazione è «drammatica » nel Sud e nelle isole. Con punte estreme, ad esempio, in città come Torino dove il 75% degli intervistati è assunto, addirittura da un solo datore di lavoro. In generale in Italia il 47% è stata messa in regola da tutti i datori di lavoro, il 13% da una parte di loro e il 24% è in nero. In sostanza quello che viene fuori è l’immagine di un lavoratore domestico che vive un «percorso ad ostacoli tra formazione, diritto e sindacato », un quadro complicato ancor di più dalla pandemia che per colf e badanti ha portato o alla perdita del lavoro o alla riorganizzazione del lavoro di cura. E i sociologi autori dell’inchiesta arrivano a suggerire come la lotta al lavoro nero per le badanti passi attraverso «la promozione di adeguate politiche sociali di respiro nazionale », come l’assegno universale per la non autosufficienza e la detraibilità fiscale dei contributi versati. Ancor meglio legando l’erogazione dell’assegno unico all’assunzione dell’assistente familiare.

Per le colf a ore, invece, si dovrebbe rendere reciprocamente vantaggioso, per datori di lavoro e lavoratrici, l’assunzione magari utilizzando la leva fiscale, ma anche «accompagnando maggiormente i percorsi di immigrazione e integrazione degli stranieri nella società italiana, che è un altro grande problema evidenziato dalla ricerca». Segregazione, ghettizzazione e scarse opportunità di mobilità sociale, così, diventano i terreni su cui intervenire ed è «nella capacità del sindacato come della politica di rappresentare il fondamentale nodo diritti/lavoro in un’ottica di nuovo sociale e generale – è la conclusione degli autori - che si giocherà in futuro la partita di un miglioramento reale delle condizioni di vita».

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