giovedì 24 dicembre 2020
Il presidente Abi: superare le stime. Un passo alla volta, ora bisogna aiutare imprese e famiglie, più saranno aiutate e meno saliranno gli Npl. Il Recovery plan? Soluzione sta già nella Costituzione
Antonio Patuelli, presidente dell'Abi.

Antonio Patuelli, presidente dell'Abi. - Ansa

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«Confidente». Si racchiude in una sola parola lo spirito con cui Antonio Patuelli si appresta a chiudere un 2020 straordinario sotto ogni punto di vista (e per questo, annota il presidente dell’Associazione bancaria italiana, «dico grazie a tutti coloro che lavorano nel credito, per gli sforzi profusi in questi mesi») e salutare un 2021 in cui «dobbiamo preparare una grande ripresa, che deve battere anche le previsioni».

Presidente, che anno è stato?

Un anno controvento. Non ci sono precedenti. Anche il settore bancario ha convissuto per la prima volta con una pandemia. Quando ci fu la “spagnola”, la presenza bancaria sul territorio non era diffusa, c’erano ancora le scritturazioni. In questi mesi ho sempre ripetuto che l’obiettivo è non sentirsi mai rassegnati a ciò che non è ineluttabile.

Non è la fine di un’era?

Anche ora la stella cometa è cercare di prevenire quanto più possibile le crisi d’impresa. Per questo non partecipo alle congetture su quale sarà fra un anno il livello degli Npl.

Non è giusto prepararsi al peggio?

E' un ragionamento che rischia di portarci alla stasi. I comportamenti delle banche sono distinti, ma paralleli a quelli delle imprese. Un passo alla volta, ora bisogna aiutare imprese e famiglie. Perché più saranno aiutate e meno saliranno i crediti deteriorati.

Ne vede le condizioni?

C’è un elemento che ci differenzia dalla prima fase del virus, in primavera: in questi mesi abbiamo riscontrato una mobilitazione e una solidarietà europea mai così forti dagli anni Cinquanta.

Però dal 1° gennaio 2021 scatteranno anche norme Ue, decise prima della pandemia, che vanno ancora in senso opposto e creeranno non pochi problemi a banche e privati.

Ha ragione, lei si riferisce al “calendar provisioning”, che sancisce i tempi di deterioramento dei crediti non rimborsati per tempo, e al nuovo concetto di default che toccherà chi ha un debito arretrato di 90 giorni, anche per soli 100 euro, 500 per le aziende.

Li trova segni di un’Europa solidale?

E’ tutto l’anno che ce ne occupiamo, segnalando il problema. E la domanda che mi pongo è: perché si è riusciti, a esempio, a far svolgere alla Bce un sostanziale ruolo da banca centrale e alla Ue ad evolvere così tanto e non si riesce invece a stoppare queste norme?

E che risposta si dà?

Sono dei nodi di Gordio. Degli intrecci di norme, compromessi fra più livelli istituzionali e più settori, frutto di procedure deliberative di vari organismi. Complicati per di più dal fatto che, fino al 31 dicembre, abbiamo - fuori dall’eurozona - una Unione ancora con la Gran Bretagna. Questa è una fase di passaggio, l’Ue post Brexit sarà una cosa diversa.

Come si risolve intanto il nodo del “nuovo” criterio di default?

Il 1° gennaio incomincia solo un contatore, c’è ancora tempo per le correzioni. Già nel 2020 abbiamo avuto sorprese positive: mesi fa chi avrebbe immaginato che la Merkel fosse protagonista della solidarietà Ue?

Cosa pensa della riapertura della Bce della facoltà per le banche di pagare dividendi, con vincoli stringenti?

Eppur si muove. L’aspetto significativo è che la decisione sia arrivata il 15 dicembre, quindi in piena seconda ondata. Segno di un allentamento delle norme programmato cum grano salis. Auspico ora di differenziare questa facoltà fra tipologie di banche. E noto che la Bce è ora molto più aperta al confronto e al ragionamento della fase pre-Enria (Andrea Enria, attuale capo della vigilanza Bce, ndr).

La vigilanza Bce sulle banche cerca un difficile equilibrio fra mero rispetto delle norme e una certa discrezionalità?

La vigilanza deve essere prudente, ma nella concretezza del realismo e con grande disponibilità ai ragionamenti. Prima il dialogo era più difficile, ora abbiamo avuto persino un consiglio Abi con il presidente Enria in diretta streaming, che tutti hanno potuto vedere in Europa.

Alcune imprese segnalano ancora ritardi nell’erogazione dei prestiti garantiti rispetto ai 2-3 giorni annunciati dal governo.

Non c’è un metro unico per l’esame delle domande. Ricordo peraltro che sono arrivate a 1,547 milioni le pratiche presentate al Fondo di Garanzia. Per un volume di prestiti che, assieme a quelli garantiti da Sace, entro fine anno conto che possa sfiorare i 150 miliardi. Oltre a moratorie per più di 300 miliardi ulteriori. Un lavoro immane, che si è sommato a quello ordinario. Per questo dico grazie a tutti i lavoratori del settore.

Come vede i prossimi mesi?

Già nel secondo semestre registriamo un aumento delle domande di prestiti delle imprese e di mutui delle famiglie. E’ un indicatore positivo. Rispetto il lavoro dei previsori, ma dobbiamo preparare una grande ripresa che deve battere anche le previsioni. Per arrivare a uno sviluppo non da “zero virgola”, ma che sia segno di una nuova era di crescita, vera arma anche per debellare quel debito pubblico che è molto salito.

Ripresa per la quale è strategico il piano di rilancio nazionale, nell’ambito di Next generation Eu. Quale opinione ha della contesa in atto nella maggioranza?

La soluzione sta già nella Costituzione. L’articolo 95 dice che il presidente del Consiglio “dirige ed è responsabile” della politica generale del governo; e che i ministri “sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri”. Ogni consulenza è possibile, ma non sostitutiva della responsabilità dei ministri.

Nel dibattito pubblico è spesso evocato il nome di Mario Draghi, l'ex governatore ed ex presidente della Bce. Presentato a volte come un “nuovo Einaudi”. La convince questo raffronto?

Proprio in questi giorni sto rileggendo alcuni scritti di Einaudi. Ricordo solo che lui non fu mai presidente del Consiglio. Non strattoniamo Einaudi.

In finale, con quali auspici si congeda da questo anno?

Natale non è solo attesa di eventi che dipendono da altri, ma speranza vissuta nella responsabilità. Auspico uno spirito più construens, da tutti. Abbiamo avuto sin troppi anni destruens, in Italia, in Europa, negli Usa. Anche di regole ne abbiamo già, non vanno inventate di nuove, anzi vanno semplificate. Confido molto in una grande fase di modernizzazione dell’Italia, che deve diventare più connessa alla parte centrale dell’Europa, sul piano digitale ma anche strutturale, anche per rendere meno periferico il nostro Mezzogiorno. In passato l’Italia ha saputo combinare grandi cose, rifacciamo nostra quella lezione. Servono capacità e volontà di ripresa di tutti gli attori e tutte le istituzioni, e su questo non deve esserci polemica.

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