lunedì 18 settembre 2023
Un progetto pilota per salvare gli allevamenti e la tradizione agroalimentare della Sardegna e ripopolare città e campagne a rischio desertificazione
In Sardegna arrivano cento pastori kirghisi
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Pastori dal Kirghizistan in Sardegna per allevare pecore e dare nuova vita a territori abbandonati o quasi. Non è detto che l’iniziativa abbia successo. Ma l’idea di creare le condizioni per far compiere ad intere famiglie un viaggio di oltre seimila chilometri per ricominciare daccapo ha dell’affascinante. Anche se deve essere presa con tutte le cautele del caso. Non si tratta di una migrazione forzata, ma di un’opportunità. Almeno sulla carta.

Tutto nasce da un accordo tra Coldiretti e ministero del lavoro dell’ex repubblica sovietica, con l’appoggio dei ministeri italiani degli esteri e dell’agricoltura oltre che dall’ambasciatore kirghiso in Italia. Si tratta di un progetto pilota. Obiettivo: salvare gli allevamenti e la tradizione agroalimentare della Sardegna e ripopolare città e campagne a rischio desertificazione. Un traguardo importante per il quale non sembra vi siano molti giovani italiani disposti a correre. Per questo, informa l’organizzazione dei coltivatori diretti, “sono in arrivo nell’Isola giovani pastori kirghisi competenti nei lavori agricoli insieme alle loro famiglie”.

Progetto pilota, si è detto. Si tratta di un primo gruppo di un centinaio di kirghisi (tra i 18 e i 45 anni) con capacità professionali specifiche in agricoltura e nell’allevamento che seguiranno un percorso di formazione ed integrazione nel tessuto economico e sociale della regione con opportunità anche per le mogli nell’attività dell’assistenza familiare. Coldiretti correttamente precisa: “E’ un’iniziativa da consolidare nel tempo che, oltre a rafforzare il tessuto produttivo, punta a contrastare l’abbandono delle campagne e dei piccoli centri dove a pesare è anche il calo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione”. Per la realizzazione si pensa ad un periodo medio-lungo che porterà all’inserimento di migliaia stranieri, a seconda della domanda, con interventi in tre distretti rurali - Sassari, Barbagie e Sarrabus -, e con l’aiuto di mediatori culturali.Ma perché proprio i kirghisi? Dal punto di vista tecnico non ci sono dubbi. In Kirghizistan l’allevamento ha radici importanti così come le conoscenze relative all’industria lattiero-casearia. Nel Paese sono allevate soprattutto pecore di razza Karakul e Argali che raggiungono per il maschio adulto sino a 80 chili di peso, animali tutto sommato simili a quelli di razza Sarda che nell’Isola costituiscono tradizione e vanto.

Poi c’è l’aspetto sociale. L’iniziativa dei coltivatori diretti è per davvero un esperimento. In un’epoca di grandi migrazioni e di forti contrapposizioni, si vuole creare l’opportunità di un lavoro stabile e nel pieno rispetto della legalità sia in termini di servizi sociali che produttivi. Non muri da abbattere e barchini da fermare, ma pecore da allevare e terreni da coltivare. D’altra parte, già oggi circa 358mila lavoratori regolari di 164 paesi diversi sono impegnati regolarmente nei campi e nelle stalle italiane. Chi arriverà sarà assunto da altri pastori con contratti di apprendistato e poi contratti a tempo indeterminato con la possibilità di occupare case sfitte nei piccoli centri dell’Isola. Ci saranno delle selezioni, ovviamente, come per qualsiasi altro lavoro. Si dovrebbe partire a breve, dopo la firma di un protocollo ufficiale tra tutte le parti.Lo abbiamo già detto: occorrerà vedere l’evoluzione dell’iniziativa. Anche e soprattutto dal punto di vista sociale. E’ un fatto però che l’agricoltura possa oltrepassare le frontiere facendosi occasione di incontro e non di scontro. Solo un segnale, ma un segnale importante.

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