mercoledì 3 marzo 2021
Da 20 anni lavoriamo sulla parità di genere. Alle giovani dico di scegliere lauree Stem
Gaia Spinella di Tim

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In Tim hanno iniziato ad occuparsi di "gender gap" molto prima che diventasse una moda. E l’inserimento in due importanti classifiche, il Gender Equality Index di Bloomberg in cui Tim ha debuttato quest’anno e il Diversity & Inclusione Index elaborato da Refinitiv che vede l’azienda prima in classifica da tre anni, è solo il punto di arrivo di un processo iniziato già molti anni fa. Le diseguaglianze con la pandemia rischiano di aumentare a fronte di uno tsunami che ha colpito soprattutto le donne. Nell’ultimo quadrimestre del 2020 su 101mila posti di lavoro persi, la quasi totalità (99mila) era al femminile. Gaia Spinella, responsabile Engagement and Development, ci spiega che in Tim il 32% della forza lavoro è donna: circa 12mila su 38mila dipendenti.

In Italia il gender gap è ancora forte a livello di retribuzione: le donne guadagnano in media un quarto il meno dei colleghi, ma soprattutto di carriera con "solo" il 32% di dirigenti donna. Tim cosa fa concretamente per mitigare queste differenze?

La lotta al gender gap da noi è iniziata vent’anni fa con gli asili nido aziendali e altre misure di welfare. Siamo soci sostenitori di Valore D, l’associazione che raggruppa 190 aziende, siamo primi in classifica per quanto riguarda la "diversity" e abbiamo una certificazione family audit. In questo ultimo periodo abbiamo lavorato molto sul filone culturale dell’inclusione in azienda con una serie di eventi e iniziative. Sulla percezione della diversità abbiamo realizzato un’indagine di "clima" e un test elaborato con un modello messo a punto dall’università di Harward, dai quali emerge chele aree su cui lavorare sono di due tipi: da un lato la questione culturale, il linguaggio e il clima in azienda, dall’altro quello della carriera, dell’empowerment delle donne. L’anno scorso in occasione dell’8 marzo abbiamo lanciato un manifesto per l’avvio del progetto donna focalizzato proprio su questi ambiti.

Alle giovani che rischiano di essere ancora più penalizzate delle loro madri quale consiglio possiamo dato?

In Italia un tema delicato è la mancanza di laureate Stem che sono rare e di cui invece c’è molta richiesta. Cerchiamo di far conoscere Tim e le opportunità di lavoro che offre nelle scuole e nell’università, con particolare attenzione agli ambiti scientifici. In azienda abbiamo dei percorsi per scovare e sostenere i giovani talenti al femminile, si concentrano in particolare sulla capacità di valorizzare le proprie competenze, sviluppare il networking e le abilità manageriali. Inoltre in ambiti come il customer care, dove le donne sono circa il 70%, in posizioni apicali o intermedie ci sono comunque in proporzione molti più uomini. Tra i motivi potrebbe esserci la difficoltà a conciliare vita privata e professionale. Vogliamo approfondire questo aspetto per sviluppare azioni concrete anche a loro supporto.

Com’è cambiato il ritmo di lavoro durante la pandemia, in particolare per le donne alle prese con un maggior carico di impegni familiari?

Abbiamo concesso maggiore elasticità e aumentato i permessi alle lavoratrici, e ai lavoratori, che non potevano svolgere la loro attività da remoto. Abbiamo lavorato molto sul well being con corsi di training autogeno, colloqui gratuiti con gli psicologi e percorsi di allenamento online. Per quanto riguarda lo smartworking abbiamo fatto un accordo che prevede ulteriori estensioni per alcune categorie tra cui donne in gravidanza e neo genitori e che tiene conto anche del diritto alla disconnessione. Una serie di regole che ci aiutano a separare il tempo del lavoro da tutto il resto. Abbiamo già sottoposto ai dipendenti la proposta di ampliare i paletti dello smartworking aziendale, in modo tale da prevedere due giorni a casa e tre in ufficio anche dopo la fine della pandemia. E il 93% dei dipendenti si è espresso a favore.

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