venerdì 20 settembre 2013
La protesta di cooperative e Comuni per l’aumento dell’imposta sulle prestazioni socio-sanitarie è approdata ieri in Parlamento. Il ministro Giovannini: «Richieste da prendere in seria considerazione». In fumo 43mila posti, mezzo milione di persone può restare senza più assistenza.
COMMENTA E CONDIVIDI
L'autunno caldo del Terzo settore è iniziato, la battaglia per evitare il collasso sociale è entrata nel vivo e allora è cambiata anche la strategia d’azione. Gli appelli e le richieste di intervento degli ultimi mesi non sono serviti a modificare la situazione. Così, ieri, dal mondo delle cooperative sociali è partito un pressing fortissimo su governo e Parlamento per impedire il passaggio dell’Iva dal 4 al 10% sulle prestazioni socio-sanitarie, educative ed assistenziali previsto dal 1° gennaio 2014. Emblematica la scelta della sede da cui questo asse portante del non profit ha cominciato a spingere il piede sull’acceleratore: Montecitorio, aula del Palazzo dei gruppi Parlamentari. Come a dire alla politica, dall’interno della sua casa simbolo, che è arrivato il tempo dei fatti. Del resto la posta in gioco è altissima. Secondo i calcoli dell’Alleanza delle cooperative italiane l’incremento del 150% dell’aliquota avrebbe un impatto devastante sui più deboli e ricadute negative sull’occupazione: 500mila cittadini (tra cui disabili, anziani, minori in difficoltà, tossicodipendenti e malati di Aids) resterebbero senza assistenza e 43mila lavoratori del settore perderebbero il loro posto. Dal provvedimento il ministero dell’Economia e delle Finanze si attende entrate per 153 milioni di euro. «Una cifra decisamente modesta – ha commentato Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative – soprattutto se paragonata alle risorse trovate per cancellare l’Imu sulla prima casa, o ai 5 miliardi di euro necessari per scongiurare l’aumento dell’Iva sui consumi al 22 per cento fino al 2014». Non solo. In realtà, secondo le imprese sociali, nel medio-lungo termine l’impennata di 6 punti percentuali rischia di avere un effetto boomerang anche sui conti pubblici. «Complessivamente – ha spiegato Giuseppe Guerini, portavoce Alleanza cooperative sociali – tra mancati introiti di 40mila lavoratori licenziati che non verserebbero più le tasse e la cassa integrazione da versare agli stessi, i costi per lo Stato sarebbero di 645 milioni di euro».   Dopo il fallimento del tentativo estivo di fare marcia indietro (l’emendamento ad hoc con cui si chiedeva il mantenimento dell’Iva al 4% non è stato inserito nel dl lavoro), adesso è rimasta un’unica possibilità: intervenire attraverso la Legge di Stabilità. Finora il governo ha mostrato sensibilità e attenzione per l’argomento. Mancano, però, le garanzie di modifica della normativa. In rappresentanza dell’esecutivo è intervenuto all’incontro il ministro Enrico Giovannini. «Le richieste sull’Iva, oltre ad essere sensate e legittime, devono essere prese seriamente in considerazione guardando al futuro del nostro welfare – ha affermato il titolare del dicastero del Lavoro e delle Politiche sociali –. La coesione sociale è a rischio e tutti devono contribuire. Questa crisi si può affrontare solo con una stretta cooperazione tra pubblico e privato». Un’idea condivisa anche dai rappresentanti degli enti locali. In questa sfida, infatti, le coop possono contare sul sostegno dell’Anci. «Senza la loro presenza sul territorio – ha evidenziato il presidente dell’associazione, Piero Fassino – i Comuni italiani riuscirebbero a garantire appena la metà dei servizi che forniscono attualmente». Perché in molti casi con l’attività di consorzi e coop si sopperisce alle mancanze del pubblico. Proprio per tale ragione il presidente dell’Alleanza cooperative italiane, Giuliano Poletti, ha alzato la voce:  «Non si può far pagare il prezzo più alto della crisi ai più deboli o a chi trascorre otto ore al giorno a contatto con i disabili gravi, nelle case di riposo o nelle comunità per i minori». Oltre al nodo delle coperture per evitare l’impennata fiscale va superato anche lo scetticismo dell’Ue, che aveva chiesto chiarimenti all’Italia per evitare l’avvio di una procedura d’infrazione. «Il precedente esecutivo si è subito adeguato alla richiesta – ha ricordato Guerini –. Al governo attuale, invece, chiediamo di spiegare agli altri Stati membri le ragioni politiche, sociali ed economiche che rendono dannosa tale misura». Per convincere l’Europa – è la tesi del Terzo settore – bisogna almeno provarci.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: