domenica 19 aprile 2020
Il presidente di Centromarca: il governo è partito bene ma manca la programmazione Alle imprese serve chiarezza su tempi e regole, la riduzione del costo dell’energia e del cuneo fiscale
Francesco Mutti, presidente Centromarca

Francesco Mutti, presidente Centromarca

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L’emergenza è stata gestita con decisione, ma la fase due appare avvolta da una nebulosa. Serve chiarezza, dice Francesco Mutti, presidente di Centromarca e Ceo dell’azienda di famiglia, e un piano a lungo termine per sostenere le imprese, tagliando il costo del lavoro e formando giovani con competenze tecniche. Centromarca è l’associazione di industrie che comprende 200 realtà del food e non food, da Barilla a Ferrero, da L’Oreal a Procter&Gamble, con un giro d’affari di 58 mila miliardi e 118mila dipenti.

Presidente Mutti, qual è lo stato dell’arte?
Il settore alimentare è rimasto aperto anche se ha avuto delle ripercussioni legate alle difficoltà di approvvigionamento e di gestione dei lavoratori. Se è vero che la grande distribuzione ha “tenuto” è anche vero che ristoranti e bar sono chiusi da un mese e mezzo. Anche il mondo dell’igiene personale e per la casa ha resistito, soffrono i settori come il make up, la profumeria, gli accessori per la casa. Il general merchandising è stato “annullato”.

Da imprenditore, qual è la strada da imboccare adesso?
La premessa è che è molto più facile dare consigli che realizzare un piano. Il governo è partito con una visione abbastanza chiara dell’emergenza, ma adesso manca la programmazione. Tanto prima si comunica quali saranno le "regole d’ingaggio" per la riapertura tanto più si aiutano le aziende a strutturarsi per la ripartenza. Le attività produttive non sono una macchina che si lascia parcheggiata per mesi e poi riparte senza problemi.

Quali misure chiedete al governo?
Un elemento fondamentale è far arrivare alle imprese la liquidità per poter ripartire, la sfida sarà sull’esecuzione di queste misure, la quantità, il modo e i tempi. Si rischia una situazione drammatica. Tenere il Paese bloccato per mesi porterà ad una recessione quasi a doppia cifra, le stime parlano di almeno il 9% di Pil.

I consumi sono crollati, continueranno a scendere?
Da una parte preoccupa la poca disponibilità che avranno le famiglie, dall’altra il debito pubblico che tenderà ad esplodere: la maggiore spesa corrente e la riduzione del Pil lo faranno salire di almeno 13–14 punti, supereremo il 150%. Lo snodo cruciale sarà la ripartenza a lungo termine, il recupero della capacità competitiva del Paese.

L’Italia perderà competitività rispetto agli altri Paesi?
Oggi la competizione è più allargata, prima c’erano di fatto solo i paesi europei e gli Usa come rivali, oggi dobbiamo gareggiare con una pluralità di stati: la Cina, l’India, la Malesia solo per fare degli esempi. La generazione di valore deve essere l’obiettivo da perseguire. Serve un percorso costante e lento.

Su quali pilastri deve essere fondato questo percorso?
Innanzitutto la riduzione del costo dell’energia e del cuneo fiscale per rendere più coerente il costo aziendale del lavoro e la cifra che finisce nelle tasche dei lavoratori. Vanno poi rimosse le rigidità burocratiche e va assicurata una giustizia certa nei modi e nei tempi. Si tratta di un equilibrio complesso.

La disoccupazione giovanile aumenterà?
Da decenni assistiamo all’indisponibilità di manodopera qualificata dal punto di vista tecnico mentre la disoccupazione giovanile è alle stelle. Il rapporto tra diplomati tecnici in Germania e Italia è di 100 a 1. Lo stesso avviene in un altro ambito, quello della sanità. Abbiamo precluso ad una generazione la possibilità di accedere alla professione medica non riuscendo a calcolare le reali necessità del sistema, e ora ne paghiamo le conseguenze. Su orizzonti temporali così lunghi non sono ammissibili errori. Il nostro tessuto industriale si sta erodendo, bisogna puntare sulla stabilità delle misure a sostegno dell’impresa.

In Italia si procede per salti?
Nei paesi più capaci, tendenzialmente quelli nordici, raramente ci sono dei cambiamenti di rotta sostanziali da un anno all’altro, da un governo all’altro. Si viene a creare una sorta di "no fly zone" per la classe imprenditoriale: la politica garantisce regole certe.

In questo momento invece c’è uno scontro tra governo e Regioni.
Il problema è stabilire chi decide. Non sono ancora chiari i meccanismi delle varie task force costituite, a partire da quella sulla fase due: si tratta di consulenti o di tecnici che hanno poteri d’intervento? Verrebbe poi da chiedersi il perché di un numero così elevato di persone. Il governo ha agito in maniera tempestiva, poi si è perso.

La fase due è iniziata dalle librerie, tra i settori produttivi auto e moda sono in pole position, cosa riaprire a breve?
Io credo che il settore edile che occupa tantissime persone e dove il distanziamento è relativamente fattibile, possa essere tra i primi. La ristorazione invece avrà maggiori problemi. Centinaia di migliaia di persone nel Paese potrebbero tornare al lavoro se messi in condizione di farlo. Un calo del 10% del Pil peserà drammaticamente sulla vita di tutti, a chi osanna la “decrescita felice” dico che la decrescita si traduce in meno tasse e meno denaro da investire.

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