venerdì 3 gennaio 2014
Secondo un'indagine della Fondazione Moressa, i lavoratori non-italiani continuano ad essere una risorsa fondamentale per la piccola impresa. “Gli imprenditori riconoscono la loro disponibilità a lavorare di più e a svolgere mansioni più pesanti e, in alcuni casi, li considerano anche più affidabili degli Italiani"
COMMENTA E CONDIVIDI
Nel 2013 l’occupazione nelle piccole e medie imprese torna a crescere (+1,60%). E questa volta l’aumento del totale degli addetti è superiore all’aumento degli addetti stranieri (+0,93%). La principale ragione che spinge ad assumere addetti stranieri rimane la mancanza di manodopera italiana, unita alla disponibilità degli stranieri a svolgere mansioni più pesanti e a lavorare di più. Sono i principali risultati emersi da un’indagine condotta dalla Fondazione Leone Moressa su un panel di oltre 1000 aziende italiane con meno di 20 addetti, che analizza le caratteristiche del mercato del lavoro straniero, evidenziandone le trasformazioni congiunturali in corso.Nel 2013 l’andamento occupazionale nella piccola impresa sembra mostrare un trend positivo. L’aumento del totale degli addetti (1,60%) è superiore all’aumento degli addetti stranieri (0,93%). A livello territoriale, il Nord Ovest è l’area con il maggior aumento di addetti stranieri (3,68%). Il settore con il maggior incremento di addetti stranieri è quello dei Servizi alle persone (2,53%). Le previsioni per il 2014 invitano comunque a restare cauti circa una possibile ripresa: il numero complessivo di addetti è destinato a rimanere invariato (-0,03%), mentre il numero di addetti stranieri dovrebbe aumentare in maniera molto lieve (0,52%).Oltre un lavoratore su cinque è straniero (23,9%) e il 43,4% delle imprese ha almeno un addetto straniero, e la percentuale arriva al 54,4% nella produzione. Oltre il 60% proviene da Paesi europei (il 26,3% da Paesi UE e il 36,5% da Paesi europei extra UE). Il 26,9% proviene dall’Africa, il 7,8% dall’Asia e il 2,6% dall’America. I Paesi più rappresentati sono Romania (14,5%), Albania (13,0%) e Marocco (8,3%). I lavoratori stranieri hanno meno frequentemente un contratto a tempo indeterminato (68,7% contro l’83,4% del totale addetti). La componente femminile si attesta al 14,9%, con una punta del 23,1% nel settore dei servizi alle imprese.Oltre il 75% dei contatti tra domanda e offerta di lavoro avviene per via informale: il 52,0% per contatto diretto e il 24,9% su segnalazione di altri addetti o altri imprenditori. La causa principale per l’assunzione di manodopera straniera rimane la mancanza di manodopera locale (33,6%). Secondo il 27,7%, invece, il motivo principale è la disponibilità degli stranieri a svolgere mansioni più pesanti. Il 21,3% degli imprenditori assume stranieri per la loro disponibilità a lavorare di più.Sul posto di lavoro, oltre la metà degli addetti stranieri interagisce prevalentemente con altri stranieri (il 38,2% con connazionali e il 21,6% con altri stranieri). solo il 37,5% ha relazioni prevalenti con Italiani. Nonostante questo, gli imprenditori ritengono che la maggioranza degli stranieri impari l’Italiano sul posto di lavoro (42,0%). Tra i canali di apprendimento, al secondo posto troviamo la scuola e corsi di lingua (28,5%) e in seguito i figli in età scolare (13,5%). Oltre la metà degli imprenditori intervistati ritiene che i propri dipendenti stranieri siano bene integrati nella cultura italiana. Il 33,9% ritiene che vi sia solo la conoscenza della lingua, senza integrazione culturale.“I lavoratori stranieri continuano ad essere una risorsa fondamentale per il sistema della piccola impresa italiana” osservano i ricercatori della Fondazione Leone Moressa. “Gli imprenditori riconoscono la loro disponibilità a lavorare di più e a svolgere mansioni più pesanti e, in alcuni casi, li considerano anche più affidabili rispetto agli Italiani. Dall’altro lato, per gli immigrati il lavoro rimane il mezzo più importante per avviare un percorso di integrazione: è qui, infatti, che imparano con più facilità la lingua italiana. Un’altra risorsa per l’integrazione sono i figli in età scolare, che trasmettono ai genitori le conoscenze apprese a scuola.”
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: