mercoledì 4 maggio 2022
Indagine della Fondazione Di Vittorio: gli accordi di settore sono aumentati dell'80% in meno di dieci anni, ma molti di quelli nuovi non sono firmati dai sindacati più rappresentativi
In meno di dieci anni gli accordi di settore sono aumentati dell'80%

In meno di dieci anni gli accordi di settore sono aumentati dell'80% - Archivio

COMMENTA E CONDIVIDI

Negli ultimi dieci anni i Ccnl-Contratti collettivi nazionali di lavoro si sono moltiplicati: da 551 che erano nel 2012 sono passati a 992 nel 2021. Sono 441 in più, un aumento dell’80%. Sono 16,6 milioni i lavoratori pubblici e privati, agricoli e domestici esclusi, complessivamente tutelati dai Ccnl, e altri 251 mila sono i lavoratori pubblici in regime di diritto pubblico coperti direttamente per legge. Di questa platea risulta coperto dai contratti firmati da Cgil, Cisl, Uil, rispettivamente il 97% dei dipendenti privati e il 99,3% dei dipendenti pubblici. Anche se l’Italia è fra i Paesi europei con la più alta copertura contrattuale, già oggi superiore a quanto la direttiva in discussione indica come obiettivo per il futuro, la proliferazione di Ccnl spesso nasconde trappole per i lavoratori. Infatti, dei nuovi 441 contratti, solo 25 risultano sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. È quanto emerge dalla ricerca realizzata dalla Fondazione Di Vittorio. Dei 992 contratti collettivi depositati al Cnel, solo 434 sono rilevati tramite Uniemens (sono solo quelli del settore privato, esclusi pubblico, agricolo e domestico). Di questi, 162 sono firmati da Cgil, Cisl e Uil e coprono circa 12,5 milioni di lavoratori, mentre 272 contratti sono sottoscritti da altre organizzazioni sindacali e regolano i rapporti di 387mila lavoratori. «La moltiplicazione dei contratti, che interessa un numero esiguo di dipendenti, rappresenta un aumento dell’offerta delle regole che riguardano il rapporto di lavoro e può esercitare una pressione verso il basso sui salari e sulle condizioni lavorative stabilite nei Ccnl più consolidati e rappresentativi – spiega Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio –. La proliferazione anomala di contratti che abbiamo registrato in Italia non ha niente a che vedere quindi né con un’espansione della copertura contrattuale, poiché riguarda un numero di persone molto basso, né con migliori condizioni di lavoro. Piuttosto, risponde ad altri meccanismi tra cui la frammentazione e scomposizione del sistema di rappresentanza datoriale».

Dal Cnel, inoltre, arriva l’allarme per i troppi contratti scaduti: sono 516 pari al 62% del totale e si riferiscono a 7.732.312 di lavoratori (il 59%). «La pandemia ha aggravato non una, ma molte dimensioni delle diseguaglianze già esistenti nel Paese, non solo nel lavoro e nel reddito delle persone, ma nella salute e la mortalità, la partecipazione scolastica e l’apprendimento, le relazioni sociali e le condizioni generali di vita – sottolinea il presidente del Cnel Tiziano Treu –. Il vero problema è che la loro combinazione ne aggrava l’impatto anche perché molti di queste si concentrano sulle stesse persone, gruppi sociali e aree geografiche, di solito quelli più fragili e meno protetti. C’è l’urgenza di rivedere l’impostazione complessiva del nostro welfare, per andare oltre l’assetto ricevuto dal passato, che è di tipo lavoristico categoriale, per procedere in direzione di un sistema di protezione e di promozione sociale universalistico».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: