sabato 30 novembre 2013
​Nel 2011, nonostante l'inizio della recessione, il 22,7% ha acquisito nuove risorse umane. In particolare, il 18% ha assunto nuovo personale dipendente e il 7,7% ha fatto ricorso a nuovi lavoratori autonomi (lavoratori temporanei ex-interinali, collaboratori a progetto e altri lavoratori occasionali e a partita Iva).
COMMENTA E CONDIVIDI
Le microimprese (unità con 3-9 addetti) adottano strategie quasi esclusivamente difensive. Solo in alcuni casi cercano di ampliare la gamma di prodotti e servizi o di accedere a nuovi mercati. Le assunzioni, nella maggior parte dei casi di personale non altamente qualificato, riguardano nel 2011 una microimpresa su quattro. Quasi un terzo delle microimprese ha investito in formazione, con corsi sia interni sia esterni. Circa un terzo delle unità prese in esame ha introdotto un'innovazione nel triennio 2009-2011, soprattutto di tipo organizzativo. Poco meno della metà delle microimprese reputa l'utilizzo di Internet non necessario o inutile per l'attività svolta. Circa un terzo utilizza un sito web, mentre un quarto ricorre al commercio elettronico.È questo il quadro che emerge dal terzo report di  approfondimento sulla rilevazione diretta sulle imprese svolta dall'Istat nell'ambito delle attività connesse al 9° Censimento Generale dell'Industria e dei Servizi. Le informazioni, rilevate sul totale delle imprese con almeno 20 addetti e su un ampio campione di imprese tra 3 e 19 addetti, si aggiungono a quelle dei registri statistici e consentono una mappatura completa delle imprese con almeno tre addetti (circa 1 milione e 50 mila).I risultati del 9° Censimento generale dell'industria e dei servizi confermano le caratteristiche del nostro sistema produttivo: struttura dimensionale fortemente frammentata e una dimensione media tra le più basse d'Europa. Questo approfondimento focalizza l'attenzione sulle imprese con 3-9 addetti (circa 837 mila, pari al 19% di tutte le imprese dell'industria dei servizi, e occupano oltre il 23% degli addetti (3,8 milioni). Le microimprese risultano particolarmente presenti nel settore dei servizi (circa il 70%), ma anche nelle attività immobiliari e professionali, inoltre si rivolgono soprattutto a un mercato più regionale (63,3% rispetto al 36% delle unità di maggiori dimensioni) e sono a gestione prevalentemente familiare (84,3% rispetto a circa il 70%), rileva l'Istat.Le strategie adottate sono principalmente di tipo difensivo (70%) ovvero volte al mantenimento della quota di mercato. Tuttavia, a questo orientamento, comune a tutti i macro settori, si affiancano o si sostituiscono strategie più complesse, come quelle orientate ad ampliare la gamma di prodotti e servizi offerti (38,4%), ad accedere a nuovi mercati (17,9%) o ad attivare/incrementare collaborazioni con altre imprese (10,4%).L'ampliamento della gamma di prodotti e servizi offerti caratterizza innanzitutto le attività commerciali (44,7%) e dell'industria in senso stretto (42,4%). Risulta invece minimo nelle costruzioni (28,7%). L'accesso a nuovi mercati interessa un terzo delle imprese industriali e quote sensibilmente inferiori di quelle degli altri comparti (con un minimo dell'11,5% negli altri servizi). L'attivazione o intensificazione di relazioni con altre imprese è invece la strategia utilizzata relativamente di più dal settore delle costruzioni (14,2%) e dell'industria (13,4%).Il settore del terziario che mostra un profilo strategico più complesso è senz'altro quello dei servizi di informazione e comunicazione, che si distingue per una quota relativamente bassa di imprese impegnate in strategie difensive (62,7%) e incidenze superiori a quelle medie per gli altri orientamenti, spiega l'Istat.Nell'attuare strategie generali, le microimprese fanno leva principalmente sul miglioramento della qualità del prodotto o del servizio offerto (75,6%). Seguono a distanza la competizione basata sul prezzo (35,1%), sulla diversificazione dell'offerta di prodotti e servizi (circa il 21%) e sulla flessibilità produttiva al variare della domanda (19,3%). La qualità del prodotto e servizio offerto caratterizza prevalentemente le imprese industriali (mediamente l'82%) con picchi molto elevati nelle industrie alimentari e delle bevande (intorno al 90% delle imprese).Nel 2011, nonostante l'inizio della recessione, il 22,7% delle microimprese ha acquisito nuove risorse umane. In particolare, il 18% ha assunto nuovo personale dipendente e il 7,7% ha fatto ricorso a nuovi lavoratori autonomi (lavoratori temporanei ex-interinali, collaboratori a progetto e altri lavoratori occasionali e a partita Iva). A livello settoriale la situazione è fortemente differenziata: le assunzioni e il ricorso al lavoro autonomo sono più frequenti nei servizi, con punte massime nei servizi postali (41,6%), nelle telecomunicazioni (41,3%), nella ricerca e sviluppo (40,7%) e nel campo delle attività culturali, della consulenza e della pubblicità (37,4%). Tuttavia, il primato di assorbimento di nuove risorse umane spetta all'industria, in particolare al settore della farmaceutica (56,5%), spiega l'Istat.La regione con la quota più elevata di assunzioni da parte di microimprese è il Trentino Alto Adige (30,9%) grazie, soprattutto, al contributo della Provincia di Trento (il 36,9%). In coda Basilicata (18,5%) e Sicilia (19,5%). Si rileva un modesto investimento in figure professionali di elevato livello: nel 2011 solo il 5,9% delle microimprese ha acquisito nuove risorse ad alta qualifica professionale (dirigenti, professionisti di elevata specializzazione, tecnici specializzati). Sono i settori tradizionali del manifatturiero (industrie tessili, abbigliamento, metallurgia), nonché i servizi di ristorazione e le attività immobiliari ad assorbire meno lavoratori con competenze elevate. I settori tradizionalmente più innovativi sono caratterizzati da un'importante presenza di microimprese che hanno investito in capitale umano qualificato. In particolare, nella ricerca e sviluppo oltre una microimpresa su quattro ha dichiarato di aver acquisito risorse di elevata qualifica professionale (28,6%), seguito dall'informatica (24,4%), dalle attività culturali (23,3%) e dalla farmaceutica (21,7%).
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: