venerdì 21 gennaio 2011
«Non penso solo di tagliare i costi ma di decidere che mestiere vogliamo fare in futuro, quale rappresentanza diamo alle imprese». La presidente degli industriali entra nel dibattito sul dopo Mirafiori e annuncia i suoi propositi: più forza ai territori, meno convegni e apertura ai contratti aziendali.
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«A questo punto è venuta l'ora di riformare la Confindustria, e non penso solo di tagliare i costi ma di decidere che mestiere vogliamo fare in futuro, quale rappresentanza diamo alle imprese». La presidente Emma Marcegaglia entra nel dibattito sul dopo Mirafiori e annuncia i suoi propositi: più forza ai territori, meno convegni e apertura ai contratti aziendali.Riformare la Confindustria, spiega Marcegaglia in un'intervista a un quotidiano, «vuol dire rafforzare il ruolo delle unioni territoriali per essere più vicini alle imprese. Nel linguaggio mediatico quando si parla di Confindustria in molti pensano solo a Roma e ai nostri convegni, ma sul territorio ci sono esperienze e realtà magnifiche. Già siamo federalisti  - sottolinea - e vogliamo diventare iperfederalisti».«Considero la vicenda Fiat uno stimolo al cambiamento - ammette Marcegaglia - ma le idee ce le avevamo già. Noi dobbiamo uscire da un vecchio schema fordista di fare rappresentanza, un format unico per tutti. In campo sindacale vuol dire aprire ai contratti aziendali, si fa rappresentanza quasi su misura ma non è affatto vero che scomparirà il contratto nazionale».Per la presidente di Confindustria, «l'83% delle Pmi lo vorrà ma in parallelo, noi abbiamo l'esigenza di cucire una contrattazione che calzi perfettamente all'organizzazione del lavoro, ai regimi di orario e alle specificità di mercato di ciascuna grande azienda. Si potrà obiettare che si tratta di un indirizzo ambizioso ma - assicura - non è certo indirizzato a radere al suolo il sindacato».Marcegaglia sottoscrive le dichiarazioni di Marchionne: «Dobbiamo abbattere la spirale bassi salari-bassa produttività. Quanto alla partecipazione agli utili, sono più che favorevole a soluzioni aziendali, non credo invece a una legge ad hoc sulla partecipazione».La numero uno della Confederazione apre agli imprenditori cinesi che operano in Italia. «Ai miei di Prato ho chiesto di associarne almeno dieci, perché se entrano da noi vuol dire che escono dal sommerso. So che spesso i cinesi sono in diretta e sleale concorrenza con le nostre piccole imprese, ma so anche che copiare un'azienda è facile, copiare una filiera è impossibile».
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