sabato 14 aprile 2018
Ed è pronta ad andare all'estero per conquistare nuovo mercato
Cresce ancora l'app italiana dei pagamenti via smartphone
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C’è chi non si era mai abituato alla carta di credito e adesso al bar paga il caffè con lo smartphone. Succede anche questo, nell’evoluzione del mondo dei pagamenti, dove l’Italia si conferma un Paese strano: è sempre rimasto attaccato al contante, eppure ha visto nascere al suo interno una delle più interessanti aziende europee di pagamenti via telefonino. Il settore è ancora piccolo ma in enorme crescita: secondo i dati dell’Osservatorio Mobile Payment & Commerce del Politecnico di Milano gli acquisti via smartphone in negozi fisici sono saliti dai 10 milioni di euro del 2016 ai 70 milioni del 2017. Metà di quei 70 milioni sono “passati” dall’app Satispay, startup italiana indipendente che ponendosi come unico passaggio intermedio tra un conto bancario e l’altro permette un abbattimento dei costi significativo: per chi paga è sempre gratis, per gli esercenti costa 20 centesimi per incassi sopra i 10 euro e zero per quelli sotto quella soglia.

Il modello funziona: con 300mila utenti attivi e circa 34mila esercenti (comprese catene come Esselunga, Coop o Yamamay) Satispay sposta denaro al ritmo di 9 milioni di euro al mese. È pronta ad andare all’estero. «Quasi pronta – precisa Alberto Dalmasso, Ceo e co-fondatore della startup – . Abbiamo sempre pensato che si debba crescere per gradi. Quest’anno lo dedichiamo a consolidare la nostra posizione in Italia, dove puntiamo a raggiungere un milione di utenti, che poi sarebbero ancora solo il 10% del mercato potenziale italiano. Nel 2019 possiamo avviare l’internazionalizzazione, iniziando dalla Francia o dalla Germania». Sono in corso trattative per fare accordi con catene attive in Italia ma già forti anche in quei mercati, che possano fare “da ponte”. Sorprende che una startup indipendente italiana possa ambire a imporsi in Europa in un settore altamente competitivo, dove ha rivali come Apple, Amazon o Samsung. «Anche se arrivano nomi del genere non cambia tanto – spiega Dalmasso –. Chiunque voglia fare un’attività di questo tipo deve mettersi a trovare le per- sone giuste, individuare i metodi, capire che cosa funziona per convincere i clienti e i negozianti in Italia, o in Francia, o in Germania... Siamo un’attività tecnologica molto legata al mondo reale, non c’è modo di accelerare bruscamente in questo settore, non sono i soldi che hai a disposizione a fare la differenza, ma il lavoro che sei stato in grado di fare».

I capitali, però, sono indispensabili. Satispay nel 2017 è stata la startup più finanziata d’Italia, dalla fondazione ha raccolto 26,8 milioni euro, con soci dai nomi importanti, come Iccrea e Banca Etica. I soldi sono stati impiegati per lo sviluppo tecnologico, il personale, il marketing. Per andare all’estero ne serviranno altri. «Circa 30 milioni di euro per ogni mercato che vogliamo aggredire» dice Dalmasso. Sembra che qualcosa, a livello di finanziamenti, sia vicino a concretizzarsi. Stavolta non in Italia. «Abbiamo in mente altre due operazioni di rifinanziamento. Entreranno fondi internazionali e altri investitori stranieri. Da noi il mondo del venture capital è ancora ristretto, fare una startup in Italia per i finanziamenti è inevitabilmente più difficile che farla in Germania o nel Regno Unito. Ma certe cose funzionano: gli incentivi ci hanno aiutato molto e abbiamo trovato un sacco di persone entusiaste di darci una mano quando eravamo agli inizi». Con la crescita arriveranno anche gli utili. «Il nostro modello sta in equilibrio con circa 1,2 milioni di utenti. Ma non abbiamo fretta di ottenere il “break even”. La tecnologia consente di creare aziende enormi, con una logica di investimento lunga. Prima investo per creare una vasta base di clienti, è quando il mercato è saturo che smetto di acquisirli. Satispay con 10 milioni di clienti, che per noi è il potenziale del mercato italiano, farebbe 80 milioni di utili. Ma se saremo capaci di fare bene una Satispay europea i clienti possono essere 50 milioni. Vogliamo fare una grande realtà internazionale, non un’aziendina».

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