martedì 25 gennaio 2022
Il Corruption Perceptions Index del 2021 segnala un netto miglioramento ma servono riforma sulle regole di chi ha il controllo effettivo delle società o dei trust
Corruzione in calo in Italia, ma le lobby resistono
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L’Italia è un po’ meno corrotta, ma con molta strada ancora da fare per raggiungere i modelli nord-europei. Ha dato risultati lo sforzo anti-corruzione dell'ultimo decennio: si sono registrati passi in avanti, a sentire il Corruption Perceptions Index (CPI) 2021, l'indice di percezione della corruzione di Transparency International, che ogni anno assegna un punteggio a ciascuno dei 180 Paesi analizzati in base al loro livello di percezione della corruzione. L'Italia è passata da 42 punti nel 2012 ai 56 attuali con "un significativo" miglioramento.Ma la lotta alla corruzione è stata praticamente stagnante nell'ultimo decennio e quasi il 90% dei Paesi non registra progressi, denuncia il rapporto pubblicato della ong, che colloca comunque Danimarca, Finlandia e la Nuova Zelanda a capo di quella strategia.L'Italia ha tratto vantaggio dalle riforme, indubbiamente, anche se rimane tra i Paesi che hanno un punteggio meno brillante e sarebbe necessaria una riforma sulle regole di chi ha il controllo effettivo delle società o dei trust. «Devono essere sanati urgentemente i gap legislativi delle attività di lobbying», si legge nel rapporto. L'Ong avverte inoltre che se i governi continueranno a utilizzare la pandemia di Covid-19 per erodere i diritti umani e la democrazia, la corruzione potrebbe peggiorare a un ritmo più rapido.Transparency assegna un punteggio a ciascuno dei 180 Paesi valutati in base al loro livello di percezione della corruzione. La media globale rimane a 43 punti per il decimo anno consecutivo, anche se due terzi dei paesi non riescono a fare passi in avanti e 27 ottengono il punteggio più basso della loro storia. Danimarca, Finlandia e Nuova Zelanda, tutte e tre con 88 punti su 100, sono in testa alla classifica, mentre Somalia (13), Siria (13) e Sud Sudan (11) hanno ancora i punteggi piu' bassi dell'indice. Particolarmente preoccupante è la situazione in alcune regioni come il Centro America, dove l'autoritarismo sta crescendo, per esempio il Nicaragua o El Salvador. Tra le grandi potenze, oltre agli Stati Uniti, che mantengono lo stesso punteggio dello scorso anno, la Cina sale di 3 punti, con un punteggio di 45 rispetto ai precedenti 42, mentre la Russia scende da 30 a 29.Il rapporto evidenzia che i Paesi che violano le libertà civili ottengono costantemente punteggi inferiori nell'indice. Il rispetto dei "diritti umani è più che auspicabile nella lotta alla corruzione. I modelli autoritari distruggono i controlli e gli equilibri indipendenti e fanno dipendere l'azione contro la corruzione dai capricci di un'elite", osserva Delia Ferreira Rubio, presidente di Transparency International. L'erosione dei diritti e delle libertà e l'indebolimento della democrazia sono terreno fertile per il dilagare dell'autoritarismo, che contribuisce ulteriormente ad aumentare la corruzione. L'ong sottolinea che dei 331 omicidi di difensori dei diritti umani registrati nel 2020, il 98% è avvenuto in Paesi con punteggi inferiori a 45. Spiccano le Filippine, che ottengono un punteggio di 33, proseguendo il declino iniziato nel 2014 con l'ascesa al potere di Rodrigo Duterte. Anche il Venezuela registra il suo punteggio più basso fino a oggi in questo indice, con soli 14 punti, perché il regime di Nicolas Maduro ha messo a tacere il dissenso suoi rivali politici, giornalisti e persino operatori sanitari. Ma anche i Paesi democratici hanno assistito a una battuta d'arresto sia nelle misure anticorruzione che nei diritti umani nell'ultimo decennio. Il punteggio della Polonia ad esempio è sceso a 56 perché il governo ha gravemente limitato la libertà dei mezzi di comunicazione.

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