L'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti - Ansa
«È certamente importante aiutare l’integrazione demografica degli immigrati che arrivano in Italia. Ma è altrettanto importante evitare la disgregazione civile dei Paesi da cui provengono, con giovani che vanno via e gli anziani che vengono abbandonati». Parte da qui Giulio Tremonti per rilanciare la proposta della Detax o “atassa”, con l’alfa privativa, come la chiamò il Monde pubblicando l’intervento del ministro italiano in una data tristemente storica come l’11 settembre del 2001. Poche settimane prima di quell’articolo sul quotidiano francese, Tremonti aveva portato la sua idea ai colleghi ministri dell’Economia degli altri Paesi dell’Unione Europea al primo Ecofin a cui partecipava per conto del secondo governo Berlusconi. A quel vertice i ministri discutevano della Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie, e molti guardarono con interessa a questa “non tassa” proposta dall’Italia. L’idea di partenza anticipava per certi versi il 5x1000 che lo stesso Tremonti avrebbe introdotto con la Finanziaria del 2006. Lo schema è questo: negozianti ed esercenti possono collegare la loro attività a un progetto etico, ad esempio l’attività di un’organizzazione non profit attiva nella cooperazione allo sviluppo; i consumatori che fanno acquisti in quei negozi possono scegliere di destinare l’1% della propria spesa a quel progetto; il governo detrae quell’1% dall’Iva e dal reddito del negoziante (per il quale quindi l’operazione sarebbe a costo zero); le risorse raccolte confluiscono in un fondo che finanzia i progetti indicati. Sarebbe un modo innovativo di sostenere lo sviluppo economico dell’Africa, agendo sulle situazioni critiche che spingono le migrazioni.
«Lo schema è attraente perché, come nel caso della Tobin tax, i ricavi potenziali sono alti – scriverà la stessa Commissione in un report del 2002 sulle sfide della globalizzazione –. Gli incassi potrebbero essere significativi anche se solo una minoranza di negozi ed esercenti accettasse di partecipare». La volontarietà di questo meccanismo veniva invece indicata come la sua debolezza. In ogni caso, per quanti ap- prezzamenti avesse ricevuto, l’idea della De-tax (così come la Tobin tax) non passò. «L’idea era che se mettiamo una tassa sui movimenti finanziari bisogna anche considerare gli effetti sui movimenti migratori. Furono bocciate tutte e due le proposte, una per l’opposizione del mondo finanziario, l’altra per l’opposizione di quello che chiamerei “il mondo della Commissione europea”» racconta oggi Tremonti. Sono passati vent’anni, il contesto è cambiato. La nuova amministrazione americana chiede una tassa minima sui profitti delle multinazionali. All’Ocse si studia la possibilità di una “web tax” sulle attività dei grandi gruppi digitali. Altre idee che l’Italia portava avanti all’inizio del Millennio, come l’emissione di eurobond, si sono fatte strada fino a diventare realtà. «Le idee giuste camminano » nota l’ex ministro. A volte anche quelle sbagliate. L’Europa in questi vent’anni ha fatto scelte che non hanno pagato. «Abbiamo fatto trasferimenti finanziari dal bilancio europeo a quelli di Stati africani e quei soldi sono in parte finiti sui conti svizzeri dei dittatori e in parte sono stati spesi in armamenti – attacca Tremonti –. È stato pensato di “esportare la democrazia”, provocando disastri come in Siria e poi finanziando Erdogan perché fermasse la gente che lasciava il proprio Paese. Forse sarebbe stato meglio adottare la De-tax che dare qualche miliardo di euro ad Erdogan…». La De-tax si basa sul principio di sussidiarietà: chi in Africa sta sul territorio spesso conosce meglio dei governi e delle istituzioni internazionali quello che occorre per migliorare la situazione della popolazione. «Ovviamente i governi dovrebbero verificare l’operatore delle organizzazioni finanziate. Ma se penso al 5x1000, ricordo che in quindici anni non c’è stato uno scandalo, non un caso di abuso – conclude Tremonti –. Coinvolgere il volontariato vuole dire anche creare coscienza civica, qualcosa di cui in questo momento c’è un enorme bisogno».