domenica 19 novembre 2023
Il presidente Giovanni Azzone anticipa le linee programmatiche 2024: «Il nostro obiettivo è intervenire sui bisogni dell’immediato ed evitare che si manifestino in futuro»
Il presidente di Fondazione Cariplo Giovanni Azzone

Il presidente di Fondazione Cariplo Giovanni Azzone - ImagoEconomica

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Nei suoi primi sei mesi da presidente di Fondazione Cariplo, Giovanni Azzone si è dedicato principalmente all’analisi dei bisogni del territorio. Ha viaggiato per quella che chiama la “Lombardia più”, l’area su cui opera l’ente, che include anche le province di Novara e del Verbano Cusio Ossola, e ha incontrato le realtà locali. Ora si avvicina il momento di svelare la strategia, che al cuore avrà le fragilità e un concetto caro ad Azzone: «il welfare di precisione». La presentazione delle Attività 2024 è in agenda per venerdì prossimo, e al centro c’è il contrasto alla povertà, in particolare lungo quattro filoni: i bisogni primari, la povertà culturale, quella digitale e quella prodotta dalle emergenze ambientali. «L’idea della Fondazione, in tutti questi quattro ambiti di attività, è che la povertà si contrasta affrontando i due “corni” del problema: interveniamo sui bisogni dell’immediato e cerchiamo di costruire le condizioni per cui quei bisogni non si manifestino nel futuro» spiega Azzone in questa intervista ad Avvenire.

Emergenza e lungo termine: come si conciliano le due esigenze nella strategia della Fondazione?

Faccio due esempi. Il primo nell’ambito del welfare, con il programma QuBì a MIlano: oltre a dare risposte ai bisogni primari come la necessità di cibo, grazie anche alla Food Policy con il Comune, aiutiamo 8mila bambini in difficoltà con i doposcuola, evitando che escano dal sistema scolastico. Se li aiutiamo oggi avremo dei giovani e degli adulti con minori possibilità di finire in povertà domani. Il secondo esempio è in ambito culturale: da un lato garantiamo l’accesso a persone che per motivi economici e di formazione non gravitano nei circuiti culturali; dall’altro vediamo la cultura come occasione di sviluppo, anche economico, dei territori, attraverso la creazione di posti di lavoro e opportunità.

Quali sono le principali problematiche emerse dagli incontri con le comunità locali?

Abbiamo visto tante emergenze immediate, ma anche problemi che sono in fase direi “embrionale”. Bisogna quindi anticiparli e gestire le situazioni. Le province di Lecco e Monza, per esempio, hanno ancora una quasi piena occupazione, ma con l’invecchiamento della popolazione rischiano di non avere in futuro la forza lavoro che occorre a mantenere il tessuto produttivo. Occorre preparare le comunità ad affrontare i problemi che verranno. Altro esempio sono città come Como o Mantova, a vocazione turistica: c’è il rischio che un turismo mordi e fuggi porti allo svuotamento del centro, trasformato in luogo solo da visitare, con molti anziani soli; e lì il nostro lavoro diventa costruire o rigenerare comunità. Così non si perde il tessuto essenziale proprio di ogni territorio.

Sono processi di grande complessità, difficili da governare...

Abbiamo la fortuna di lavorare in un territorio particolarmente fertile a livello di imprese, istituzioni, terzo settore. Fondazione Cariplo ha un vantaggio: siamo in grado di parlare con tutti e coagulare le forze che già ci sono.

Però, in una fase come questa, proprio le risorse restano una variabile chiave.

Sappiamo che i 153 milioni che Fondazione Cariplo donerà il prossimo anno al territorio non bastano a rispondere a tutte le necessità. È qui che è importante adottare un welfare di precisione, con interventi mirati sulle esigenze dei singoli, così da utilizzare al meglio le risorse a disposizione. Oggi si può fare.

Da dove partirete?

È fondamentale l’analisi dei dati. Se tutti gli operatori mettessero in condivisione i propri potremmo essere in grado di conoscere i bisogni di ciascuno. E poi dobbiamo saper generare effetti leva. Penso ad esempio alla possibilità di attrarre altri soggetti e convincerli a mettere risorse insieme a noi; oppure scalare esperienze di successo in territori diversi. Al tempo stesso, intediamo sfruttare il potenziale di strumenti moderni per misurare l’efficacia dei nostri interventi.

Diceva che i 153 milioni di interventi annuali non bastano. Puntate a fare di più?

C’è tutto nel nostro motto: tute servare, munifice donare (conservare con cura per donare con generosità, ndr). La finanza può sembrare una materia arida, ma ci permette di svolgere l’attività filantropica Ogni milione in più guadagnato con la buona gestione del patrimonio va alle comunità locali. Comunque sì, in futuro vorremmo poter erogare più risorse.

Cambierete strategie?

La logica è quella di un allungamento dei tempi, aumentando a tendere l’esposizione su asset più illiquidi che sul lungo termine offrono ritorni maggiori pur in una logica sempre di grande prudenza. Qualche ritocco si può fare.

Nel 2022 Fondazione Cariplo ha arrotondato al 4,81% la partecipazione in Intesa Sanpaolo, la banca conferitaria, con un investimento di 350 milioni. Ci sono altre mosse in vista?

Al momento non sono all’ordine del giorno. Per noi Intesa Sanpaolo rappresenta un doppio beneficio: diretto, in termini dividendi, e indiretto per l’attività a supporto del welfare che svolge. Essere soci della banca ci aiuta a essere parte di un grande progetto di creazione di valore a tutti i livelli e di inclusione.

Sempre a proposito di investimenti, le Fondazioni attraverso F2i saranno probabilmente coinvolte nel progetto di riassetto della rete Tlc di Telecom Italia. Che ne pensa?

È interesse delle Fondazioni che il Paese cresca: è assolutamente ragionevole investire sulle infrastrutture.

Però il mondo delle Fondazioni non è sempre compatto.

Per i nostri enti credo sia fondamentale essere parte di un sistema. Solo così possiamo far valere tutto il nostro peso e rendere rilevanti anche le Fondazioni più piccole.

Siamo alla vigilia del rinnovo dei vertici Acri, l’associazione che rappresenta le Fondazioni. Che ruolo intende avere Cariplo?

Riteniamo fondamentale l’associazione e il lavoro condotto in questi anni prima da Giuseppe Guzzetti e poi da Francesco Profumo. Sappiamo che il mondo cambia e qualche correttivo può rendersi opportuno, ad esempio per favorire la collegialità; anche le collaborazioni e il confronto con le fondazioni all’estero è importante; dove ci sono schemi e potenziali partnership per noi molto interessanti. Sui problemi planetari dobbiamo avere uno sguardo ampio, anche a livello europeo.

Ma lei è disponibile a guidare l’associazione?

Non è il tema di questo momento. Per ora, a livello di enti stiamo ragionando su quale tipo di figura sia adatta. Successivamente avrà senso parlare di nomi.

Torniamo a parlare di interventi. A Milano tra le emergenze più evidenti c’è quella abitativa: l’impennata dei prezzi delle case allontana dalla città i giovani e le famiglie. Cosa state facendo su questo fronte?

Fondazione Cariplo è stata all’avanguardia da sempre sul social housing, che ora però è messo un po’ in crisi dall’aumento dei costi di costruzione. Il ragionamento che stiamo facendo è portare avanti interventi bilanciati: le case messe sul mercato possono sostenere quelle a canone calmierato per chi ne ha bisogno. Con Redo, la società a cui abbiamo dato vita per occuparsi di questi temi, siamo coinvolti nell’operazione di Sesto San Giovanni che va proprio in questa direzione. Il problema della casa non c’è solo nel capoluogo: Milano va vista come città metropolitana, dove in tutte le aree vicine ci siano opportunità e vivacità economica.

Tra le priorità della Fondazione c’è anche quella dell’ambiente.

I tempi della transizione ecologica sono lunghi, e anche qui ci muoviamo con l’approccio a due velocità. C’è un’urgenza che è quella della povertà energetica legata anche alla transizione ecologica. In questo senso crediamo molto nel potenziale delle comunità energetiche solidali, che sanno generare energia pulita con il fotovoltaico e donarla alle persone in difficoltà. Ci sono già esperienze attive in tal senso in cui vincono tutti: l’ambiente e le persone.


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