mercoledì 9 gennaio 2019
Di Maio: non un euro alle banche. Ma non è così, specie se si arriverà a nazionalizzare. Analogie e differenze con i casi Mps e istituti veneti. E i possibili scenari futuri
Ecco le contro-verità sul salvataggio della banca
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Noi siamo differenti, continuano a ripetere i giallo-verdi ora al governo. Sarà, ma in ogni caso l’anno nuovo ha portato per l’esecutivo Conte quello che il sito di economisti lavoce.info ha definito il «primo bail-out del popolo». Un intervento a sostegno della genovese Carige senza, puntualizza Luigi Di Maio, un aiuto pubblico alle banche. Tesi che il vicepremier ha voluto sviluppare in 10 punti su Facebook. E per convincere i "seguaci" ha argomentato così: «Secondo voi, se stessimo aiutando le banche, i media e questi politici falliti continuerebbero a farci la guerra? Svegliaaa!».

È difficile negare, però, che il contenuto del decreto rappresenta una marcia indietro rispetto alla linea precedente dei 2 partiti, specie dei 5 stelle. In attesa del testo ufficiale, per smontare alcune delle tesi del politico di Pomigliano è sufficiente il comunicato stampa diffuso lunedì sera che, come rileva con ironia Francesco Boccia, deputato Pd esperto di economia, «sembrava scritto da Dombrovskis o Schaeuble (rispettivamente vicepresidente della Commissione Ue ed ex ministro tedesco, ndr) nel recitare che "le misure sono prese in stretto raccordo con le istituzioni comunitarie"».

La stessa precisazione che Di Maio ha messo al primo punto («Non abbiamo dato un euro») lascia il tempo che trova: i commissari di Carige hanno già chiesto l’accesso alla garanzia statale che, di fatto, è esattamente la stessa che lo Stato ha dato nei casi del Monte dei Paschi di Siena (Mps) e delle due banche venete, Bpvi e Veneto Banca (anche se forse avverrà con modalità diverse dalle cosiddette Gacs dell’ex ministro Padoan, due anni fa). E una garanzia non si attiva gratis: per farla partire, nonché per il rafforzamento patrimoniale di eventuali istituti in crisi, fu il governo Gentiloni a costituire un fondo ad hoc da 20 miliardi che venne ferocemente avversato da M5s e Lega. Sul costo già sostenuto in passato c’è stata anche una disputa fra Tesoro ed Eurostat al termine della quale, stando all’ultimo Def, l’impatto finanziario è stato quantificato in 6,3 miliardi sul deficit 2017 e in 16,6 miliardi sul debito pubblico.

Al secondo punto Di Maio afferma «speriamo non serva», riferendosi alla garanzia sui nuovi titoli che Carige emetterà e sull’eventuale ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato. «Ma questo non dipende solo da loro – spiega Enrico Zanetti, ex vice-ministro dell’Economia nel governo Renzi –. Dipende dall’esito del piano di salvataggio e, poi, dal rapporto con le autorità di vigilanza europee. Perché, a meno di un’evoluzione positiva del quadro, ora siamo davanti a due scenari: il piano va male e la Bce autorizza la ricapitalizzazione, come per Mps, con lo Stato che nazionalizza e diventa azionista di un’altra banca».

Quindi ci mette soldi pubblici, come ha ammesso anche il leghista Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio della Camera. E questa, al momento, appare la soluzione più concreta, anche se difficilmente si concretizzerà prima delle Europee del 26 maggio. «Oppure – prosegue Zanetti – va male e Francoforte non autorizza, e in questo caso non resta che dar vita a una bad e una good bank», come fatto negli altri casi.

Da qui si arriva, per diretta conseguenza, all’altro punto enunciato da Di Maio: «Salviamo tutti gli obbligazionisti e correntisti». Questa, semplicemente, è un’affermazione prematura: non siamo ancora in quella fase. Nelle banche venete a pagare sono stati sia gli azionisti sia gli obbligazionisti; mentre nella Mps nazionalizzata i primi si sono visti "diluire" le loro quote, i secondi non hanno avuto alcun problema. Ma se per Carige si arriverà al quadro più negativo e si vorranno tutelare i proprietari di obbligazioni, sarà necessario metterci dei soldi pubblici.

È corretto invece il riferimento del ministro dello Sviluppo al caso Etruria (ma perché no - vien da dire - alle altre tre banche locali del 2015, al di là dell’"ossessione" grillina per lo specifico ruolo del padre dell’ex ministro Boschi?), dove fu applicato per la prima volta - ma non in forma piena - il bail-in Ue e i detentori di obbligazioni ci rimisero denaro. Tuttavia, Zanetti sottolinea che «alla fine il salvataggio di maggiore successo è stato proprio quello delle 4 banche: l’unico in cui correntisti, dipendenti, clienti e fornitori sono stati tutelati senza denaro dei cittadini. E sarebbe stato più completo senza i vincoli Ue. I governi Gentiloni e Salvini-Di Maio salvano (giustamente), ma con denaro dei cittadini».

Gli altri aspetti sottolineati da Di Maio sono più che altro dichiarazioni d’intento ancora da sviluppare, come per l’annunciata battaglia «per riformare il sistema di vigilanza bancaria e fare la separazione tra banche commerciali e d’affari». Sulla carta ha ragione, invece, nel dire che per il rimborso di obbligazionisti e azionisti questo governo ha stanziato più fondi (1,5 miliardi) in manovra. Un punto su cui, tuttavia, Zanetti invita alla prudenza: «Vedremo quanto erogheranno concretamente. Sono capaci tutti a stanziare somme e poi ad accusare il fato perché le regole Ue vietano di usarli nei termini promessi. Non sarebbe la prima retromarcia di questo governo nel confronto con l’Europa e la realtà».

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