sabato 19 marzo 2022
L’ascolto (81%), l’empatia e la comunicazione (76%), la collaborazione (72%) sono qualità acquisite dai genitori che possono essere utilizzate anche dai lavoratori
Le qualità dei genitori possono essere apprezzate anche sul luogo di lavoro

Le qualità dei genitori possono essere apprezzate anche sul luogo di lavoro - Archivio

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«Consentire ai papà che lavorano di esercitare appieno il diritto e il dovere di genitori è un potente acceleratore, un allenatore di competenze utilissime in azienda». Lo afferma Riccarda Zezza, ceo e cofondatore di Lifeed, società di education technology, basandosi su'analisi dell’Osservatorio Vita-Lavoro di Lifeed. Purtroppo è ancora alta la percentuale di papà che non si considerano “visti” sul posto di lavoro.
Per il 57% dei padri, infatti, il ruolo di genitore non è visibile in azienda. Nel 59% dei casi, a ostacolare il riconoscimento del ruolo di padre in ambito professionale è una cultura aziendale che tende a mantenere separata vita privata e lavoro. Più di un papà su due (il 54%) nell’ultimo anno si è sentito nelle condizioni di dover scegliere tra vita privata e professionale. Tra gli ostacoli emersi il 24% riguarda una scarsa attenzione ai ruoli extra lavorativi della persona (e al work life balance) da parte dell’azienda. Nel 20% dei casi, i lavoratori in aziende di diversi settori e dimensioni (padri tra i 29 e i 58 anni) indicano tra gli ostacoli della paternità sul lavoro la propria capacità di esprimersi nel ruolo di genitore in azienda, legata a stereotipi personali. Sono i papà stessi, in questo caso, a percepirsi come lavoratori esclusivamente in ufficio e papà solo quando sono in famiglia, come se i due ruoli potessero essere nettamente separati.

Che cosa, secondo i padri stessi, potrebbe accendere anche sul luogo di lavoro il potenziale della loro paternità? Tra le soluzioni raccolte, il 36% riguarda una cultura aziendale “caring”. Una cultura che mostra attenzione al work-life balance e ai ruoli extra lavorativi delle persone farebbe sentire i padri “riconosciuti” anche sul lavoro. Nel 33% dei casi, serve un clima di condivisione, supporto reciproco, apertura al dialogo tra colleghi, manager e collaboratori sul tema della paternità. Nel 19% dei casi emerge l’utilità di iniziative ad hoc dedicate ai genitori e supportate dall’azienda (per esempio bonus, regalo, congedi extra, flessibilità eccetera). Nel 12% dei casi, è un tema di autodeterminazione e spinta individuale: serve la volontà da parte dei singoli di condividere la propria esperienza di papà.

Quando la paternità è riconosciuta e valorizzata anche sul lavoro, i padri si sentono liberi di mostrare in azienda ciò che sono e ciò che hanno imparato grazie a questa esperienza: l’83% dei papà scopre più delle mamme (78%) un modo diverso di mettere insieme vita privata e vita lavorativa; il 71% si sente più capace di usare le competenze allenate con la paternità anche sul lavoro: come l’ascolto (81%), l’empatia e la comunicazione (76%), la collaborazione (72%) e le competenze di gestione del cambiamento (80%).

«Gli uomini delle nuove generazioni non percepiscono più il ruolo lavorativo come preponderante nella loro vita: si sentono infatti prima padri (71%) e solo dopo professionisti (42%) - conclude Zezza -. Questo cambiamento è già intorno a noi, permea la società. Riconoscere queste mutazioni sociali e rappresentarle non è solo utile per migliorare la qualità del nostro lavoro, ma è indispensabile anche per una maggiore integrazione delle donne- sulle cui spalle ricade il maggior peso di cura familiare- nella vita economica e civile del Paese. La strada verso il diritto alla parità nell’esercizio della genitorialità sembra ancora drammaticamente lunga, ma il cambiamento è in atto e le imprese che sapranno spingerlo ne trarranno solo benefici».

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