giovedì 20 gennaio 2022
L’idea di RiceHouse, giovane startup: utilizzare gli scarti del cereale per progetti di bioedilizia
La casa di riso
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Pochi alimenti sono buoni e sani come il riso, non solo a tavola. Lo sa bene la RiceHouse, giovane startup e Società Benefit di Biella che con il prezioso cereale – anzi, con i suoi preziosi scarti – realizza case sostenibili e confortevoli e conquista premi in tutto il mondo. Nata nel 2016 da un’idea di Tiziana Monterisi, architetta nativa ecologica con studio ad Andorno Micca, nel Biellese, e del suo compagno, il geologo Alessio Colombo, RiceHouse è probabilmente una fra le realtà più interessanti della bioedilizia europea (tanto da essere stata scelta come case study all’ultimo Social Enterprise Open Camp di Venezia) poiché valorizza in modo originale le potenzialità dei residui del riso per creare abitazioni sane, pulite, a bassissima energia e ad impatto zero sull’ambiente. «La nostra è stata una scommessa fatta nel momento in cui, per motivi di lavoro di Alessio, da Lecco ci siamo trasferiti a Biella; davanti a quelle distese di risaie e alla grande quantità di scarti che a settembre, dopo il raccolto, rimaneva sui campi in attesa di essere bruciata, mi so- no domandata: come dare nuova vita a tutto questo? Come evitare di emettere ulteriore CO2 nell’atmosfera?», racconta l’architetto, a lungo responsabile dell’ufficio architettura di Cittadellarte Fondazione Pistoletto e fondatrice di Nova Civitas, società che si occupa di ricercare, progettare, costruire e ristrutturare edifici con materiali naturali o riciclati, provenienti da filiere corte a ciclo chiuso. «Ho pensato alla paglia utilizzata in architettura e in ingegneria e, a quel punto, ho immaginato gli scarti con una forma nuova: di casa. L’ho immaginata tutta naturale, facilmente realizzabile, in grado di auto-supportarsi dal punto di vista energetico e priva in ogni sua parte di materiali petrolchimici e di tutto ciò che può far ammalare l’uomo e l’ambiente».

Assolutamente convinti che la casa non sia solo una scatola che contiene le nostre vite ma sia, invece, quella che il pioniere della bioarchitettura Karl Ernst Lotz aveva definito 'la nostra terza pelle', si sono quindi messi a sperimentare per trovare soluzioni, prodotti e tecnologie il più possibile sostenibili. «Con Alessio abbiamo detto: se non la proviamo prima su di noi non riusciremo mai a capire. Ed è così che abbiamo progettato casa nostra». Da quel momento la strada, per RiceHouse, è stata tutta in discesa: sono arrivate abitazioni, edifici per uffici e negozi, scuole, antisismiche, traspiranti, ecocompatibili, energeticamente autosufficienti e capaci di garantire le giuste temperature sia d’estate che d’inverno senza l’uso di impianti di riscaldamento o di raffreddamento, persino a 1800 metri d’altitudine. «Le case fatte di riso sono un’opportunità di benessere anche nella loro fine vita perché tutti i materiali utilizzati sono riciclabili, biocompostabili, disassemblabili e pensati per diventare ottimo compost per la risaia stessa», precisa Monterisi. «Nel 2019 abbiamo anche lanciato una linea di bioprodotti realizzati con scarti di riso, paglia e lolla, che è poi l’involucro esterno del riso, molto utile in architettura perché impermeabile, resistente agli agenti atmosferici e alle muffe: i prodotti, attualmente una ventina». Il riso è il cereale più diffuso al mondo ed è la più importante risorsa alimentare globale. L’Italia ne è il principale produttore europeo e il Piemonte, in particolare, è la regione che coltiva il 50% del riso 'tricolore'.

Ad una grande produzione di cereale corrisponde, tuttavia, una grande produzione di scarti e di inquinamento. «Ogni ettaro coltivato genera, in media, 7 tonnellate di riso e 10 tonnellate di sottoprodotti, tra paglia, pula, lolla e argilla: abbiamo calcolato che se in Italia utilizzassimo il milione di tonnellate prodotto dalla sua lavorazione, assorbiremmo, in un solo anno, un milione e mezzo di tonnellate di CO2», interviene Alessio Colombo, che in RiceHouse ha portato la propria esperienza nella gestione dei materiali e dei leganti minerali. «A differenza di altri cereali, la coltivazione di riso non è gestita da multinazionali ma da realtà minute, famigliari, e piccoli sono anche gli appezzamenti. Noi abbiamo studiato la materia prima e il suo territorio e abbiamo capito che la sostenibilità del nostro progetto sta anche nel fatto che non va ad intaccare o limitare le proprietà nutritive della pianta (che rappresentano il 70%) ma interessa solo il suo sottoprodotto (il 30%)». «Siamo una start up anomala, attualmente costituita da 16 persone, dove abbiamo cercato di mettere insieme la visione tipica della startup 'modello Silicon Valley' e quella più tradizionale del mercato dell’edilizia. All’inizio ci davano per pazzi mentre ora stiamo ricevendo premi e riconoscimenti a livello internazionale. Dal 2020 siamo anche Società Benefit », aggiunge il cofounder e direttore tecnico.

A marzo la startup ha concluso un aumento di capitale di 600 mila euro con l’ingresso di nuovi soci, tra cui Riso Gallo e fondi di investimento che investono sulle società ad impatto come Avanzi impact e Impact Hub: l’obiettivo è sviluppare nuovi progetti e nuovi prodotti e raggiungere i 3 milioni di fatturato per il 2021 (dieci volte tanto quello del 2020).

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