sabato 22 ottobre 2022
Con i costi aumentati le aziende subiscono la concorrenza dei più inquinanti polimeri vergini fatti in Asia. E così si guasta anche la filiera del riciclo, un'eccellenza italiana
Le bollette mandano in crisi anche il riciclo della plastica

Pixnio

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Il grande piazzale dell’azienda campana che ricicla plastica è pieno di balle di bottiglie in Pet, quelle dell’acqua e delle bibite, frutto della raccolta differenziata dei rifiuti. Ma dal modernissimo impianto non esce da mesi neanche un grammo di granuli di plastica, la cosiddetta materia prima seconda. Impianto chiuso. Ma non l’unico. Attualmente il 40% delle attività di riciclaggio delle plastiche sono ferme, come denuncia AssoRimap, l’Associazione nazionale riciclatori e rigeneratori materia plastiche, aderente a Confindustria, più di 50 aziende che riciclavano il 90% della raccolta differenziata di plastiche. Ora non più.

La causa è il fortissimo aumento delle bollette energetiche, attualmente +450%, e la grande concorrenza dei Paesi asiatici produttori di plastica vergine, derivata dal petrolio. Così ora questa costa molto meno di quella riciclata e le industrie utilizzatrici hanno fatto marcia indietro dopo anni di aumento del riciclato. Ma così si torna a consumare più materie prime vergini, più energia, più acqua e a produrre più CO2. E la raccolta differenziata va in crisi. Con tanti saluti all’economia circolare. Mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro. Una situazione che tocca anche altri Paesi europei ma soprattutto l’Italia che tarda ad avere strumenti efficaci per favorire i prodotti riciclati, e ha fatto slittare ancora l’applicazione della plastic tax, che comunque non sarebbe applicata nel caso di utilizzo di plastica riciclata, soldi che dovrebbero essere utilizzati per sviluppare il riciclo.

Andiamo con ordine. In Italia l’immesso di imballaggi in plastica è di 2,2 milioni di tonnellate all’anno Il riciclato effettivo è 750mila tonnellate. Nuove materie prime seconde da impiegare direttamente in altre produzioni, il cosiddetto “end of waste”. Circa 300mila vanno in combustione, recupero energetico e discarica (poco). Il resto, circa un milione, si perde. Eppure utilizzare plastica riciclata conviene tantissimo. Rispetto alla plastica vergine, si emette il 75% in meno di CO2 e si consuma il 75% in meno di energia. In altre parole per ogni tonnellata di plastica riciclata si risparmiano 1,9 tonnellate di petrolio e 3mila kWh di elettricità, con un taglio di 1,4 tonnellate di CO2. Per questo il settore è stato in forte crescita in tutta l’Europa.

E l’Italia è tra i migliori. «Questo tipo di imprese – spiega Walter Regis, presidente di AssoRimap – sono un’eccellenza del Paese, leader mondiali nella qualità della materia prima seconda e nella tecnologia degli impianti. Per questo la crisi è grave». Come detto, il colpo di grazia è arrivato col boom delle bollette energetiche, aumentate ad agosto del 990% per assestarsi al +450%. La Ue ha disposto un pacchetto di iniziative per un tetto massimo del costo del MWh per alcuni settori, tra i quali il riciclo. E questo aiuterebbe anche a frenare le speculazioni. Alcuni da tempo hanno coperto i capannoni con pannelli fotovoltaici, ma le aziende ora chiedono al governo contributi e detrazioni per l’autoproduzione. Per ora non ascoltate. « Il 31 dicembre ci sarà il big bang – avverte Regis –. È la data in cui molti dei nostri che riescono ancora a lavorare finiranno i contratti fissi coi fornitori di energia che hanno consentito di andare avanti. Non solo il margine di guadagno sarà completamente azzerato, ma bisognerebbe produrre addirittura in negativo».

Ma le bollette non sono l’unico problema. Il settore da più di due anni è sotto attacco del prezzo della plastica vergine che rende il riciclo non competitivo, ed è collegato al prezzo del petrolio e ai costi molto bassi che hanno Cina, India, Bangladesh e Paesi del Golfo, grazie alla disponibilità di derivati del petrolio a prezzi bassi e a un costo del lavoro molto inferiore rispetto all’Europa. Così il riciclato perde appeal e quindi mercato. Nel 2021 c’era stata una forte spinta all’uso del Pet riciclato per produrre nuove bottiglie da parte di grandi brand di acqua e bibite e questo aveva fatto salire il prezzo delle bottiglie di Pet da 400 euro a tonnellata a 1.400-1.600 e di conseguenza il Pet riciclato. Poi un calo aveva assestato a giugno il prezzo a 350 euro. Ma la mazzata energetica ha rimesso tutto in gioco. Le aziende che utilizzavano plastica riciclata sono scese da un uso in percentuale dal 100% al 25%, grandi multinazionali che avevano annunciato che le proprie bottiglie avrebbe contenuto almeno il 50% di plastica riciclata hanno rallentato se non bloccato tutto.

Così ora i consorzi come il Corepla che ricevono dai comuni la plastica della raccolta differenziata hanno poche scelte: aprire nuovi siti di stoccaggio per attendere tempi migliori, o mandare la plastica all’estero, ma così gli affari li faranno gli altri. Gli imprenditori chiedono alcuni interventi: misure fiscali come il credito d’imposta per i produttori di manufatti in plastica che usano il riciclato, immaginando come è stato fatto per la produzione di energia e per la CO2 dei certificati bianchi; un tetto massimo del costo dell’energia, a 200 euro al MWh. «Servono – avverte Regis – politiche attive di riciclo che è asse portante dell’economia circolare. Se non ci saranno il settore è destinato prima a finire in sofferenza e poi a sparire o a essere acquistato da fondi o società estere. Se si blocca la raccolta differenziata sarà un problema sociale, ambientale, occupazionale e economico».

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