giovedì 1 aprile 2010
Dopo lo stop del capo dello Stato al disegno di legge sul lavoro, il premier detta la linea e l'esaecutivo evita le polemiche. L'opposizione e la Cgil esultano. Il ministro del Welfare Sacconi: recepiremo le indicazioni in tempi rapidi, tenendo conto dell'avviso comune raggiunto tra le parti sociali. 
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Rinviato alle Camere. Il lavoro è da rifare. È netto il giudizio che ha portato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a non firmare la legge delega nr. 1167-B sul lavoro, collegato alla Finanziaria e approvato in via definitiva dal Senato il 3 marzo. Alla base di questo atto ci sono soprattutto «serie perplessità» sulla possibilità di ricorrere a un arbitrato, invece che al giudice, in caso di controversie di lavoro, un punto che Napolitano chiede al Parlamento di modificare. È la stessa norma che era stata fortemente contestata dalla Cgil, che vi aveva letto un tentativo di "aggirare" le tutele previste dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, anche se l’avviso comune poi raggiunto l’11 marzo dalle imprese e dagli altri sindacati escludeva l’arbitro per i licenziamenti. Ed è un atto ancor più significativo perché è la prima volta che Napolitano chiede al Parlamento di cambiare una legge.I dubbi del Quirinale riguardano anche l’art. 20 della legge che, interpretando una delega del 1955 in materia di sicurezza sui navigli di Stato, potrebbe avere l’effetto di bloccare un’inchiesta della procura di Torino su 142 uomini della Marina Militare morti per esposizione all’amianto. Precede il tutto un rilievo più generale, sulla crescita abnorme ed «eterogenea» di questo testo, che da 9 articoli e 39 commi iniziali è arrivato a contare «50 articoli e 140 commi riferiti alle materie più disparate», si osserva nel lungo (8 pagine) messaggio inviato alle Camere dal Quirinale. Che sottolinea quindi in negativo «gli effetti negativi di questo modo di legiferare» e si dice preoccupato che così venga meno «la certezza del diritto».Ma è sull’articolo 31 (l’arbitrato) che Napolitano incide nel vivo della legge, affossando pesantemente l’impianto del testo varato. Il capo dello Stato parte da una premessa positiva, osservando che l’introduzione di strumenti alternativi alla classica (e molto lunga) causa di lavoro «può risultare certamente apprezzabile» e va valutata «con spirito aperto». Allo stesso tempo, però, il Colle fa notare ai parlamentari che «occorre verificare attentamente» che le novità non tocchino la «volontarietà dell’arbitrato» e la «necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole», cioè del lavoratore. Allo scopo il Quirinale ricorda espressamente che la Corte Costituzionale ha già dichiarato più volte «la illegittimità costituzionale delle norme che prevedono il ricorso obbligatorio» alla figura dell’arbitro. Davanti al quale si può finire - si ricorda - solo quando c’è «la concorde volontà» di tutte e due le parti.L’analisi del Quirinale è minuziosa. Ed evidenzia che «non può non destare serie perplessità» proprio l’aspetto che il sindacato, la Cgil in particolare, aveva indicato come il più critico: vale a dire l’inserimento della clausola compromissoria nel contratto d’assunzione, con cui la decisione di ricorrere a un arbitro terzo per la soluzione di controversie future viene presa già quando si firma il contratto. Ovvero, rimarca il Quirinale ricalcando quanto già sostenuto da vari osservatori, quando «massima è la condizione di debolezza» del lavoratore.Napolitano chiede poi di riconsiderare anche l’arbitrato "per equità" (con ulteriori «perplessità» sulla sua applicazione estesa al pubblico impiego), in cui l’arbitro può decidere in deroga alle norme di legge. In questo modo «si incide sulla  stessa disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, rendendola estremamente flessibile anche a livello del rapporto individuale». Anche se poi lo stesso Quirinale ha rafforzato quanto già scritto nel messaggio, e cioè che i problemi richiamati «vanno al di là della questione, pur rilevante», dell’art.18 dello Statuto. Per Napolitano, tuttavia, l’arbitrato di equità va «circoscritto da limiti certi e condivisi». Nemmeno l’avviso comune ha sciolto il nodo perché, pur apprezzandone «il valore», Napolitano afferma che «solo il legislatore» può fissare l’«effettiva volontà» delle parti.Un altro punto "contestato" del ddl interessa il potere, accordato dalla legge al ministro del Lavoro, di dare il via alle norme sull’arbitrato anche in assenza di un accordo o contratto collettivo che ne preveda il ricorso: sarebbe una «ampia delegificazione», anche troppo. Per i danni da amianto, Napolitano è contro l’eliminazione delle sanzioni penali per le morti dei militari ammalatisi su navi statali. Con una norma simile, diventa impossibile il risarcimento del danno, che scatta per i dipendenti dello Stato solo se c’è un dolo o una colpa accertati.IL GOVERNO PRONTO A COLLABORAREIl governo modificherà il ddl rinviato alla Canere tenendo conto delle osservazioni del presidente della Repubblica. Lo ha annunciato ieri il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi mentre lo stop del Quirinale fa esultare le opposizioni e la Cgil, principale avversaria del provvedimento. La «bocciatura» della legge non è stata del tutto inattesa. Anche se il Quirinale alcuni giorni fa aveva smentito le indiscrezioni giornalistiche su una decisione negativa già presa, qualche dubbio era trapelato. L’esecutivo comunque assorbe il colpo ed evita le polemiche. Una linea dettata dallo stesso premier Silvio Berlusconi. Nonostante il rinvio alle Camere, questo l’opinione trapelata da Palazzo Chigi, il presidente della Repubblica riconosce l’importanza del provvedimento, e se chiede qualche correzione la avrà.L’obiettivo, ha spiegato Sacconi, è «un rapido esame parlamentare» circoscritto alle questioni segnalate da Napolitano per evitare che l’intero ddl possa arenarsi bloccando così «importanti deleghe come quella sui lavori usuranti». Nel corso del question time alla Camera il ministro è entrato nello specifico spiegando che il governo non intende rinunciare all’istituto dell’arbitrato di equità che «lo stesso presidente della Repubblica ha apprezzato». Si impegna però a circostanziarlo e a esplicitare che «si realizza nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e in quelli della materia di lavoro». Altro punto da ribadire, secondo Sacconi, è la fiducia nella contrattazione collettiva che potrebbe diventare «la sede esclusiva di regolamentazione» dell’arbitrato. A questo proposito, per il ministro la legge potrebbe «recepire i contenuti della dichiarazione comune sottoscritta da tutte le organizzazioni tranne la Cgil» (un accordo per mantenere la sola via giudiziale in tema di licenziamento).Il segretario del Pd Pierluigi Bersani sottolinea invece che l’opposizione aveva messo in rilievo «gli elementi di ingiustizia e di incostituzionalità» della legge. Ma «loro sono andati avanti come carri armati e per fortuna il Quirinale ora li ha invitati ad un ripensamento». Finalmente, rileva stavolta Antonio Di Pietro, il presidente della Repubblica «batte un colpo» e ferma lo «svuotamento dello Statuto dei lavoratori».Soddisfatto Guglielmo Epifani. Il leader della Cgil  aveva definito incostituzionale la norma sull’arbitrato e minacciato il ricorso alla Consulta e ora esprime «apprezzamento per la decisione del Quirinale» che conferma «gli aspetti critici del provvedimento». Poi la stilettata ai «cugini» di Cisl e Uil per la «dichiarazione comune su una legge nemmeno ancora promulgata né pubblicata sulla Gazzetta ufficiale» di cui ora è «evidente l’intempestività». Decisamente diverso il tenore delle dichiarazioni di Cisl e Uil che hanno invece difeso il ddl e firmato l’intesa per delimitarne il campo: «Esprimiamo il massimo rispetto per la decisione del presidente della Repubblica», afferma la segreteria della Cisl. La confederazione guidata da Raffaele Bonanni ribadisce che «l’arbitrato è uno strumento utile», e risponde a «principi di libertà e sussidiarietà che la Cisl intende rafforzare e regolare attraverso la contrattazione» È questo il senso dell’avviso comune che rimane la base per un successivo accordo interconfederale sulla materia». Anche Luigi Angeletti dalla Uil si augura che il rinvio alle Camere della normativa «sia l’occasione per rendere coerente il provvedimento con l’avviso comune realizzato dalle parti». Confindustria esprime «massimo rispetto» per la decisione del Colle e auspica un rapido intervento delle camere «per recepire le indicazioni di Napolitano».
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