mercoledì 17 agosto 2022
Solo 2,9 milioni in smart working: il 37,2% dei potenziali otto milioni. Nove su dieci cercano un impiego che aiuti a conciliare con la vita familiare. Uno su due non vuole un orario fisso
Una lavoratrice in smart working

Una lavoratrice in smart working - Ansa

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Su otto milioni di potenziali lavoratori agili italiani, solo un terzo oggi lavora da remoto per almeno un giorno a settimana. È quanto emerge dall’indagine di Randstad Research realizzata elaborando i dati Istat ed Eurostat sul lavoro da casa negli anni di pandemia. Lo studio rileva come alla fine 2019 fossero 1,15 milioni gli italiani che lavoravano almeno in parte da casa, arrivati a 2,9 milioni di lavoratori da remoto almeno un giorno a settimana all’ultima rilevazione di fine 2021: in crescita, ma ancora solo il 37,2% del potenziale. Sul totale degli occupati, oggi il 13% dei lavoratori italiani lavora da casa e, nello specifico, il 5,9% per due o più giorni a settimana, il 7,1% meno di due giorni a settimana. Se però si analizza il dato di chi lavora da casa per almeno metà del tempo, confrontandolo con gli altri Paesi europei, si scopre che l’Italia è fanalino di coda e sta tirando il freno al lavoro da remoto. Nel nostro Paese, la percentuale degli occupati che lavorano almeno la metà delle ore da casa è salita dal 3,6% del 2019 al 12,2% del 2020, per scendere poi all’8,3% nel 2021. Mentre nello stesso periodo la media Ue è passata dal 5,4% del 2019 al 13,4% nel 2021 in crescita costante. Se invece si considerano le persone che lavorano da casa meno della metà del tempo, l’Italia è in decisa crescita, dall’1,1% del 2019 al 6,5% nel 2021, ma resta comunque nelle ultime posizioni, mentre la media europea è arrivata al 10,6%. Rispetto ai Paesi Bassi, siamo sotto di quasi 25 punti percentuali. Dallo studio di Randstad Research, risulta che ad avvalersi di più del lavoro da remoto sono le donne: a fine 2021 il 14% delle occupate lavora in parte da casa, contro l’11,9% dei colleghi maschi. Il 6,6% delle donne lavora per la maggior parte del tempo da casa e il 7,8% meno di due volte a settimana. Per gli uomini percentuali leggermente più basse: rispettivamente il 5,4% e il 6,5%. Ha un’età compresa tra i 35 e i 39 anni quasi il 60% di chi è in lavoro da casa per almeno metà del tempo lavorativo, solo il 20% tra i 15 e i 34 anni. È ultra 55enne il 22,3% di chi lavora per la maggior parte del tempo a distanza, il 26,6% di chi è a casa meno di due giorni alla settimana. L’utilizzo del lavoro da casa risulta fortemente differenziato nelle varie aree geografiche. Il 15,5% dei lavoratori del Centro operano almeno in parte da casa. A seguire il Nord-Ovest (15,2%) e il Nord Est. Distanti le Isole e il Sud Italia dove lavorano almeno in parte da casa rispettivamente il 9,3% e il 9,1% degli occupati.

I lavoratori non rinunciano alla flessibilità

Grandi dimissioni, difficoltà a trattenere i talenti e a reclutare nuove risorse hanno caratterizzato il mondo del lavoro, anche italiano, negli ultimi mesi. Una situazione complessa, che impone alle aziende di tenere in considerazione diversi fattori. Sopra tutti, la flessibilità. È quanto emerge da uno studio condotto da Indeed – portale numero uno al mondo per chi cerca e offre lavoro – che ha preso in considerazione 1.000 lavoratori italiani. Il datore di lavoro dei sogni? Quello che, non solo promuove, ma incoraggia il work-life balance (88%). Seppur lo stipendio continui a giocare un ruolo di primo piano, i lavoratori non sembrano più disposti a rinunciare alla flessibilità. Quando si sceglie un nuovo impiego, poter lavorare secondo orari flessibili (56%) conta più di un piano di bonus/premi di produttività (53%) e delle opportunità di formazione (47%). A riprova, il 43% dei partecipanti allo studio sarebbe disposto a lavorare per un salario inferiore a patto di poter contare su uno schema di lavoro flessibile. Allo stesso modo, meno di 1 lavoratore su 2 accetterebbe un’offerta di lavoro interessante e in linea con i propri desiderata se si rendesse conto che l’azienda non adotta politiche di lavoro flessibile o “ibrido”. Flessibilità, infatti, per i lavoratori italiani non significa poter lavorare esclusivamente da casa (o da remoto) ed escludere la vita d’ufficio. Il 47% ritiene che lavorare solo da remoto possa rendere più difficile lo sviluppo professionale e il percorso di carriera. Certamente andare in ufficio è preferibile quando è facile da raggiungere e ben servito dai mezzi pubblici (41%), gli spazi sono moderni, rinnovati e funzionali (41%) e quando c’è modo di verificare se il proprio team di lavoro sarà presente in una data giornata (36%). Molto apprezzata anche la possibilità di poter avere a disposizione cibo gratuito, ad es. la colazione (26%), la presenza di un’area fitness (19%), l’organizzazione di eventi di socializzazione (16%) o di attività di intrattenimento (11%).

Un lavoratore su due non vuole un orario fisso

I lavoratori chiedono ai loro datori di passare dalla fase di emergenza pandemica a una nuova era nei rapporti di lavoro, dando priorità alla flessibilità e a fattori quali la fiducia e il benessere. È quanto emerge da una ricerca di ManpowerGroup e Thrive. La ricerca What workers want: dalla ricerca alla realizzazione sul lavoro si basa su un'indagine condotta su oltre 5mila lavoratori in cinque Paesi di cui più di un migliaio in Italia e rivela che la quasi totalità dei lavoratori italiani (96%) considera la flessibilità importante. Tuttavia, la natura di tale flessibilità varia. In questo momento la richiesta delle persone è di una flessibilità ritagliata sulle loro esigenze, con il 51% che vuole scegliere l'orario di inizio e fine lavoro e il 17% che sarebbe disposto a rinunciare a un giorno di stipendio per lavorare quattro giorni alla settimana, pur di raggiungere un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro. I risultati indicano anche che il ruolo dei leader sta cambiando, poiché la fiducia e i valori condivisi sono sempre più importanti e i lavoratori sono disposti ad andarsene se non si sentono adeguatamente supportati. Secondo l'indagine, la fiducia è un fattore chiave per una forza lavoro sana e felice. La fiducia nei colleghi è giudicata importante dall’82% dei lavoratori italiani, seconda solo all'equità della retribuzione (88%) e alla sicurezza delle condizioni di lavoro (87%), mentre la fiducia nei leader è stata giudicata un requisito necessario da più di due terzi degli intervistati (69%). Inoltre, le persone vogliono lavorare per aziende con cui condividono valori e convinzioni (69%), e il 73% cerca un significato personale nel proprio lavoro quotidiano. La pandemia ha posto la salute mentale in cima all’agenda pubblica e aziendale e i lavoratori vedono ora il benessere come una responsabilità condivisa con i datori di lavoro. I livelli di stress in Italia sono diminuiti rispetto al picco della pandemia (dal 42% al 36%), ma sono ancora superiori a quelli precedenti al marzo 2020 (29%).



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