venerdì 7 gennaio 2011
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Un’economia invisibile. Che c’è ma non si vede, non si misura, non fa statistica. An­zi le falsa (le statistiche) facendo schizzare verso l’alto i tassi di disoc­cupazione e verso il basso i dati sul Pil. Una piaga da debellare. Parliamo di lavoro nero, sommerso, irregola­re. Una condizione per nulla ecce­zionale, che Bankitalia recentemen­te ha stimato interessi nel Mezzo­giorno un lavoratore su cinque. Per un totale di oltre 2 milioni. Stime, certo, che rischia­no però di essere anche al ribasso, se si considera il Rapporto della Uil sul lavoro som­merso realizzato sulla base dei ri­sultati delle ispe­zioni condotte, da gennaio 2006 a ot­tobre 2010, da mi­nistero del Lavoro, Inps, Inail ed En­pals. Dati certi, in­somma, che foto­grafano oltre 1,2 milioni di lavorato­ri irregolari nelle aziende ispeziona­te negli ultimi 5 anni. Di questi il 47,2% (pari a ben 581.360 lavorato­ri) è stato scovato completamente in nero. Sul totale delle aziende i­spezionate, 854.732 sono risultate irregolari (il 61,7%). Un’enormità. I dati «confermano che il lavoro irre­golare è una vera e propria metasta­si del sistema economico e produt­tivo », ha detto il segretario confede­rale Guglielmo Loy alla guida del Ser­vizio politiche territoriali e del lavo­ro della Uil che ha curato lo studio. Se in effetti risultano accertati qua­si 600mila lavoratori, a seguito dei controlli, la stima dei 2 o addirittu­ra 3 milioni di lavoratori irregolari non è per nulla azzardata. Anzi. Se si aggiunge che nel rapporto Uil del 2009 si calcolava che il «fatturato» dell’economia sommersa fosse ar­rivato a 154 miliardi, «ci sono le con­dizioni per far sì che il 2011 possa essere l’anno della lotta al sommer­so e all’evasione», dice Loy. «Solo ri­portando a livelli fisiologici il tasso di lavoro irregola­re – aggiunge – sarà possibile creare un conte­sto positivo al di­battito sulla quan­tità e qualità del lavoro, sul rappor­to tra stabilità e flessibilità, sulla necessità di in­centivare le im­prese a creare po­sti di lavoro stabi­li e utilizzare, sen­za abusarne, tipo­logie di lavoro non standard che, pur essendo forme 'regolari', cioè non illegittime di lavoro, non sempre ri­spondono alle regole». Oltre 15 mila i provvedimenti di so­spensione adottati nei confronti del­le aziende. I settori meno virtuosi sono risultati l’edilizia (5.471 prov­vedimenti di sospensione) e i pub­blici esercizi (4.511).Dallo studio e­mergono anche delle sorprese, per non dire dei paradossi che dimo­strano la complessità del fenome­no. Tra le Regioni con il più alto tas­so di aziende irregolari tra quelle i­spezionate quattro su cinque sono infatti presenti nel centro-nord: Li­guria (73,1%), Lombardia (63,9%), Marche (62,9%), Campania (il 59,8%) e Umbria (il 59,4%). Così co­me la più alta percentuale di lavora­tori in nero rispetto all’occupazione irregolare trovata nelle aziende i­spezionate è stata riscontrata pre­valentemente nel Nord. Oltre alla Campania dove si concentra la più alta percentuale di lavoratori in ne­ro (il 70,8%), si trovano, l’Emilia Ro­magna al 55%, il Friuli Venezia Giu­lia al 46,1%, il Molise al 44,7% e la Li­guria al 44,2%. «A differenza di dif­fusi luoghi comuni, questo fenome­no non è prevalentemente radicato nel Mezzogiorno», evidenzia Loy. Anche se più realisticamente sono lo specchio dell’ennesimo gap del Mezzogiorno. Che oltre a essere il cuore del lavoro nero – almeno nel­le stime più generiche e dall’espe­rienza diretta di chi vive al Sud – è la parte del Paese dove si fanno meno controlli, «sommersi» anche loro. Dove c’è una tolleranza non più tol­lerabile. Dove, accanto ai tanti, trop­pi che subiscono le irregolarità e so­no costretti a tenersi forte quel la­voro senza tutele, ce ne sono tanti altri, troppi, che preferiscono esse­re 'invisibili' per sfruttare al meglio le 'opportunità' dei retaggi di un as­sistenzialismo che blocca ancora lo sviluppo del Sud. Centinaia di mi­gliaia di disoccupati virtuali che go­dono di sussidi e lavorano in nero, u­sufruendo di agevolazioni e servizi. A danno di chi lavora regolarmente. Secondo una recente indagine del­la Cgia di Mestre le unità di lavoro ir­regolari presenti nel nostro Paese sa­rebbero 2.951.300, il 44,6% concen­trato nel Mezzogiorno. Segue il Nord-Ovest con 626.700 unità (il 21,2%), il Centro con 542.700 (il 18,4%) e il Nord-Est con 464.500 (il 15,7%). A guidare la lista 'nera' è la Calabria. Qui il tasso di irregolarità (l’incidenza percentuale del nume­ro di unità di lavoro irregolari su quelle regolari) è del 26,9% con 175.200 lavoratori in nero. Seguita dalla Sicilia con un tasso di irregola­rità del 21,4% (326.300 lavoratori ir­regolari). In coda alla classifica le re­gioni del Nord con il Veneto al ter­zultimo posto (tasso dell’8,7%, 197mila lavoratori), l’Emilia Roma­gna al penultimo (8%, 166mila la­voratori in nero). In coda troviamo la Lombardia, la più virtuosa, con un tasso del 7,8% (349.200). Per Bankitalia i lavoratori irregolari nel Sud sono 1 milione e 304 mila. Lì do­ve la disoccupazione giovanile sfio­ra il 25%. Al lordo del nero, ovvia­mente.
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