venerdì 1 agosto 2014
Nessun accordo coi fondi: è default tecnico. Fallisce la missione del ministro dell’Economia a New York: «Noi saremmo insolventi? Cavolata atomica».
Fermare gli avvoltoi di Leonardo Becchetti
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L’Argentina scivola nel default. Tecnico, come precisano gli economisti. Selettivo, come spiega l’agenzia di rating Standard & Poor’s. Ma comunque sempre default. Solo il governo argentino continua a non volerne sapere di usare quella parola, che richiama alla mente il disastro economico del 2001. «Siamo in una situazione insolita che non continuerà nel tempo», ripete il ministro dell’Economia Axel Kancillof, arrivato mercoledì a New York sulla spinta dell’ottimismo, poi nervoso e deluso al termine dell’ultima fallimentare giornata. Ieri, in serata, ha ripetuto che quella sul default «è una cavolata atomica», nelle stesse ore in cui l’agenzia Fitch ha tagliato il rating. Sta di fatto che i titolari di bond emessi dodici anni fa dovevano ricevere i pagamenti dall’Argentina, e questo non è avvenuto. Anche, e soprattutto, per la clausola 'Rufo' che impedisce di venire incontro alle richieste dei 'fondi avvoltoio' (così chiamati dalla  presidenta Cristina Kirchner e dai suoi ministri) che non hanno accettato di rinegoziare il debito. Pagare loro quanto dovuto, circa un miliardo e mezzo di dollari, avrebbe annullato gli accordi con il 92% di creditori che accettò le trattative del 2005 e del 2010, portando così un ulteriore passivo stimato tra i 120 e i 500 miliardi di dollari. La clausola Rufo scadrà il 1 gennaio 2015: riuscirà nel frattempo l’Argentina a rimanere a galla? Difficile saperlo, anche se gli economisti sono convinti che lo scenario catastrofico del 2001 non verrà riproposto. Il default, d’altra parte, apre alla possibile entrata in gioco di una seconda clausola, quella 'di accelerazione': i creditori che accettarono gli accordi con l’Argentina potrebbero ora pretendere di riavere indietro quanto versa- to, fino all’ultimo centesimo e interessi compresi. Circa un terzo di loro, però, ha già chiesto al giudice americano Thomas Griesa di dare altro tempo al Paese, in modo da riunire tutti i creditori allo scopo di firmare, uniti, l’annullamento della clausola Rufo. Con un occhio puntato all’andamento della Borsa, le trattative continuano: le conseguenze, per il momento, paiono circoscritte sui mercati e l’unico timore per l’Italia è forse rappresentato dalle difficoltà che Telecom potrebbe incontrare nella vendita della quota detenuta in Telecom Argentina. Per il resto, già stamattina a New York si terrà una nuova udienza. Secondo il quotidiano La Naciòn, un preaccordo era stato raggiunto proprio quando il ministro Axel Kancillof, in serata, si stava sfogando davanti ai giornalisti, rilasciando dichiarazioni che sarebbero state viste dal consorzio di banche come l’ammissione dell’impossibilità, da parte del governo, di restituire loro il denaro. A quel punto le trattative sono congelate, anche se si starebbe muovendo una cordata di alcune banche americane, tra cui JPMorgan, per acquistare i bond speculativi. Acclarato il default, parte la caccia ai colpevoli. Il capo di gabinetto Jorge Capitanich ha dato dell’«incompetente» a Daniel Pollack, il mediatore nominato dal giudice Griesa: «La responsabilità è degli Stati Uniti – ha aggiunto Capitanich, che non ha escluso di ricorrere al Tribunale Internazionale dell’Aia –. Il potere giudiziario non è indipendente da quei minuscoli gruppi che pretendono di sabotare il pagamento del nostro debito». Parole di fuoco sono attese anche dalla Kirchner. Ma, per adesso, continuare a negare il default non sembra essere la strategia più efficace.
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