lunedì 12 novembre 2018
La manovra fiscale non riesce a delineare un convincente piano di sviluppo economico e progresso sociale
Buon senso e dialogo unica strategia anti-austerity
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Può un governo ergersi ad avvocato che cura gli interessi di tutto un popolo, nessuno escluso? Il buon senso dice di no. La politica esiste proprio per mediare tra interessi contrapposti e compiere scelte. A favore o contro gli evasori fiscali, ad esempio. Ma anche a favore di questa o quella categoria di lavoratori e imprenditori, o per indirizzare le risorse in questo o quel settore, con un’idea di futuro del Paese. Qualcuno nel governo ha detto che questo è il momento di tifare Italia. Ma se tifare per il proprio Paese è d’obbligo e non costa nulla, per vincere occorre, come ben sanno i tifosi sportivi, un mix di talento e strategia. E la strategia dell’azione di governo è inadeguata allo scopo.

Prima ancora dei contestati numeri del disavanzo, delle previsioni di crescita, e degli effetti sul rapporto debito-Pil, la manovra fiscale non riesce a delineare un convincente piano di sviluppo economico e progresso sociale. L’accento su un sistema permanente di sussidi e misure di condono ha il sapore più di una capitolazione che di un disegno coerente per riportare il Paese su un sentiero di prosperità.Intendiamoci, però. Il ministro Tria ha ragione quando afferma che il rispetto delle regole del debito rischiano di dissanguare l’economia italiana. Diversi osservatori indipendenti, italiani e non, ritengono che la riduzione del debito italiano secondo le regole vigenti sia una missione impossibile in un’unione monetaria che rimane fragile e incompleta, e soprattutto priva di una propria capacità fiscale.

E tuttavia, se i progressi in questa direzione sono troppo lenti non dipende né dalla Bce né dagli eurocrati di Bruxelles, ma dalla volontà dei governi europei, Italia compresa.Il problema è che per fare politiche keynesiane assennate non bastano, né occorrono, le manifestazioni di tifo dal balcone per una percentuale. Un maggiore disavanzo immette, è vero, più reddito nell’economia, ma gli effetti di lungo periodo dipendono da un contesto più ampio di condizioni che l’atteggiamento del governo ha contributo a rendere ostili. C’è una bella differenza tra porre sul tavolo della Commissione le difficoltà oggettive di una regione chiave dell’area euro e, come invece è accaduto, fare intendere che i nostri guai strutturali li sapremmo risolvere meglio da soli, senza dover fare i conti con la nostra adesione all’Unione Europea.

Dal giorno in cui fu resa nota la bozza del contratto di governo che comprendeva questa posizione “sovranista”, i tassi d’interesse sui mercati italiani sono saliti, la borsa ha perso quasi un quarto del suo valore, è aumentata l’incertezza che condiziona le decisioni private di spesa a medio-lungo termine, il Pil si è fermato, occorreranno 5 miliardi in più all’ano per pagare gli interessi, il credito rallenta. Se il maggior reddito finirà a ricostituire i risparmi così perduti, allora la scommessa del 2.4% sarà perduta in partenza, ridando fiato ai soloni dell’austerità.

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