lunedì 11 maggio 2015
Oltre 200 delegati, 60 imprese (tra cui 3M, Electrolux, Centro Ricerche Fiat, Amadori, Barilla, Janssen Cilag), 60 gruppi di ricerca da una ventina di Università e il Cnr. Questi i numeri della Borsa della ricerca, giunta alla VI edizione, che si svolgerà il 18 e 19 maggio a Bologna.
COMMENTA E CONDIVIDI
Oltre 200 delegati, 60 imprese (tra cui 3M, Electrolux, Centro Ricerche Fiat, Amadori, Barilla, Janssen Cilag), 60 gruppi di ricerca da una ventina di Università e il Cnr. Questi i numeri della Borsa della ricerca, giunta alla VI edizione, che si svolgerà il 18 e 19 maggio a Bologna. Con Tommaso Aiello, coordinatore della Borsa, proviamo ad anticipare qualche tema.Perché una Borsa della ricerca?Perché l’unico modo per creare un raccordo tra la ricerca accademica e l’innovazione industriale è realizzare un evento in cui queste connessioni siano dirette ed immediate. Anche quest’anno organizzeremo in una sola giornata oltre 800 appuntamenti e, per molte delle realtà presenti sarà un’opportunità unica per entrare in contatto con ricercatori o imprese diversamente irraggiungibili. Con la Borsa della ricerca vogliamo portare avanti il nostro modello, che punta a superare l’intermediazione, puntando tutto sulla creazione di un sistema di relazioni permanenti.Quanta occupazione è stata creata o si può creare in sinergia con Università e imprese?L’innovazione di per sé crea occupazione: un raccordo efficace tra Università e impresa vuol dire maggiori risorse per la ricerca, ma anche un migliore utilizzo dei fondi pubblici attraverso progetti sviluppati in funzione delle reali esigenze delle aziende. Ed è proprio puntando sull’innovazione che le imprese italiane avranno la possibilità di rimanere competitive e di crescere.Il fenomeno degli incubatori d’impresa universitari può essere inserito in questo ambito della ricerca? Come mai questo ritardo in Italia?Gli incubatori, universitari e non, possono essere sicuramente uno strumento valido per fare reale trasferimento tecnologico. Anche noi abbiamo delle eccellenze, ma è oggettivo che uni ritardo a livello nazionale esista. I fattori sono molteplici e le colpe credo siano equamente distribuite. Vi è ancora una scarsa propensione a collaborare tra imprese ed università ed una regolamentazione eccessivamente burocratica. Più di tutto, vi è sempre la convinzione che l’onere dell’investimento, anche nel caso degli incubatori, debba sempre e comunque essere dell’altro.E per quanto riguarda il placement, come mai non tutti gli Atenei italiani sono ancora attrezzati a fornire servizi di stage e tirocini, oltre che di inserimento agli studenti? Come superare le difficoltà?La mia opinione è che il placement non sia soltanto stage e tirocini, ma che si debba dare un ruolo importante all’orientamento. Invece, gli uffici placement continuano ad essere oberato di pratiche burocratiche ed il tempo per lavorare ai servizi realmente utili a laureati e selezionatori è ancora poco. La verità, al di là di molte dichiarazioni, è che il placement non è ancora visto dal sistema universitario come un’attività strategica, non solo per offrire un servizio ai laureati, ma anche per attrarre le imprese e le potenziali matricole. Quando si penserà al placement come risorsa, anche economica, allora si supereranno molte delle attuali difficoltà.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: