martedì 14 gennaio 2020
Più investimenti per istruzione e formazione, meno alunni per classe, potenziamento degli organici nelle aree difficili, un rapporto con il mondo del lavoro più orientato allo sviluppo del giovane
Ecco come evitare la dispersione scolastica
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Più investimenti per istruzione e formazione, meno alunni per classe, potenziamento degli organici nelle aree difficili e a rischio abbandono dei banchi di scuola, allargamento del tempo scuola e dell’obbligo formativo con anticipo a cinque anni ed estensione fino alla maggiore età, sostegno delle istituzioni locali, un rapporto con il mondo del lavoro più orientato allo sviluppo del giovane: a chiederlo è Anief, il sindacato rappresentativo, dopo avere appreso che «nel 2018 sono stati circa 62mila i "cervelli in fuga" che hanno lasciato l'Italia per andare all'estero», ma soprattutto «598mila i giovani tra i 18 e i 24 che anni hanno abbandonato precocemente la scuola» fermandosi al diploma di terza media. «Diventa necessario esercitare una serie di interventi che vanno oltre le competenze del ministero dell’Istruzione - spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale dell'Anief -. La scuola non può vincere questa sfida da sola. Servono senz’altro più risorse dal ministero dell’Economia, un coinvolgimento costruttivo con il dicastero del Lavoro, occorre introdurre un impianto normativo che supporti l’azione delle scuole attraverso interventi diretti da parte di altri agenti sociali istituzionali, a partire da quelli che operano nei territori». L’addio agli studi di circa 600mila giovani l’anno è una condizione pesante, anche a livello sociale: secondo l'Ufficio studi della Cgia di Mestre l’alto numero di ragazzi che lascia gli studi solo con la licenza media concorre «ad aumentare la disoccupazione giovanile, il rischio povertà ed esclusione sociale. Una persona che non ha un livello minimo di istruzione è in genere destinata ad un lavoro dequalificato, spesso precario e con un livello retributivo basso». Inoltre, i giovani che «non dispongono di una adeguata preparazione professionale, saranno difficilmente collocabili nel mercato del lavoro, anche perché rischiano di perdere in partenza la competizione con gli stranieri nell'occupare i posti di lavoro poco qualificati».

CHI PUÒ AIUTARE LA SCUOLA
Per invertire la tendenza, il giovane sindacato Anief ritiene che occorra prevedere un piano di sviluppo orientato la formazione dei giovani che coinvolga non solo il ministero dell’Istruzione, ma una serie di altri dicasteri, a iniziare da quello dell’Economia passando per quello del Lavoro, fino al coinvolgimento pieno di Regioni, Province e Comuni. Con il governo a fare da cabina di regia. Pensare che la scuola da sola possa riuscire a sovvertire una tendenza che ha radici le difficoltà strutturali e la carenza di supporti socio culturali in cui versano i cittadini di varie zone d’Italia, in primis del Sud, è una pretesa senza alcuna possibilità di riuscita.

IL PIANO D’AZIONE
Bisogna, certo, prima di tutto incrementare gli investimenti: invece, la spesa pubblica per l’Istruzione rispetto al Pil sarà in calo fino al 2035, passando dal 4% al 3,2%. È una tendenza che conferma l’andamento già realizzato tra il 2005 e il 2013, con gli investimenti per l’istruzione, sempre rispetto al Pil, risultati in sensibile calo. Lo stesso Eurostat ha di recente collocato l’Italia all’ultimo posto Ue per la spesa pubblica rivolta all’Istruzione, con un preoccupante 7,9% nel 2014, a fronte del 10,2% medio. Senza dimenticare i risultati dell’ultimo rapporto Svimez 2019 sull’economia e la società del Mezzogiorno, dal quali risulta che, a partire dal Meridione, la percentuale di assenteismo e di abbandono scolastico risulta maggiorata: l’abbandono precoce della scuola al Sud è infatti superiore al 30-40%, come confermato dai più recenti studi Svimez, contro una media nazionale del 14,5%. Ecco perché in queste quelle zone occorre necessariamente prevedere una quantità maggiorata di docenti e personale Ata. Altrettanto importante è tornare alla condizione di tempo scuola e di classe formati su numeri più bassi degli attuali, quindi precedenti al dimensionamento Tremonti-Gelmini del 2008, quando si posero le basi per tagliare il 25% delle ore d’insegnamento, la docenza per moduli e le compresenze alla primaria, 4mila istituti autonomi su 12mila, con l’aumento progressivo di alunni per classe, che ha poi portato alle classi pollaio. Si tratta di una condizione imprescindibile se si vuole rispettare il dettato costituzionale secondo cui chi è privo di mezzi ha pieno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e di affermarsi nella società.


LE PROPOSTE DEL SINDACATO
Proprio per aumentare la disponibilità del personale in forza in ogni istituto e incrementare il tempo-scuola, il sindacato Anief aveva chiesto di modificare la manovra di bilancio prevedendo l’adeguamento dell’organico di fatto all’organico di diritto «anche sui posti in deroga di sostegno e per le sezioni primavera nonché alle effettive esigenza della comunità», da attuare «anche sui posti relativi alle sezioni primavera». Una proposta che avrebbe comportato «la revisione dei criteri di assegnazioni degli organici alle istituzioni scolastiche da sottoporre alla Conferenza Stato–Regioni, in base alle effettive esigenze del territorio, alla dislocazione, alla rete di collegamento con le stesse istituzioni scolastiche nelle piccole isole o comunità montane, all’ubicazione in luoghi a rischio, ad alto tasso di dispersione scolastica, migratorio o ancora depresse economicamente». Sempre l’Anief ha chiesto l’estensione dell’obbligo scolastico a 18 anni e anticipandolo a cinque anni, da prevedere come anno ponte, «considerati i dati sulla dispersione scolastica, l’aumento dei Neet, la scarsa percentuale di giovani che conseguono un diploma terziario si ritiene necessario investire sulla formazione del capitale umano e innalzare l’obbligo formativo a 18 anni per dotare gli studenti di quel bagaglio di competenze che potrà sostenerli nella ricerca di un lavoro di qualità e nella formazione universitaria».


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