sabato 19 marzo 2016
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È significativo che, di fronte alla lunga crisi economico-finanziaria mondiale, l’enciclica Caritas in veritate rimandi alla fecondità del paradigma teologico-sociale francescano, ispirato alla valenza della gratuità, che esprime l’etica dell’alterità, del valore economico relazionale, della solidarietà e della fraternità globale. Oggi, nell’epoca della globalizzazione, quando, cioè, pare sia venuta meno la forza coesiva del territorio, del linguaggio, della politica, della religione, non potrebbe essere lo spirito del Cantico delle creature, attualizzato da Papa Francesco nell’enciclica Laudato sì, il comune punto di riferimento dell’umanità, il parametro del nuovo ordine mondiale? L’enciclica dischiude una nuova forma e un nuovo modo di abitare la madre terra per uscire dallo spreco, dallo scarto e dal batailliano dépense. I filosofi e teologi francescani, consapevoli delle problematiche nuove che emergevano dalla società, hanno saputo sincronizzare attività speculativa con la pratica pastorale del vivere quotidiano in mezzo alla gente, il pensiero con l’azione, la mistica con il lavoro, l’economia con la felicità, il bene con il ben-essere, la teoria con la prassi. La prospettiva culturale nuova parte dalla distinzione tra una somma di denaro qualsiasi e una somma di denaro efficientemente inserita o da inserirsi all’interno di un processo produttivo. Solo quest’ultima, infatti, venne definita come 'capitale' e solo a questa si associò un valore aggiunto legato alla possibilità di offrire un rendimento; ne conseguì che il prezzo del capitale aveva sempre un valore superiore al valore del denaro che lo misurava, e che doveva quindi essere remunerato come 'lucro cessante', oltre che come atto virtuoso attento al benessere collettivo. L’idea della produttività del capitale per lo sviluppo fu davvero rivoluzionaria e la si comprende se si considera che il denaro diventava etico quando veniva immesso nel processo produttivo per una finalità di benessere collettivo. L’originalità e la specificità dell’espressione di Francesco d’Assisi 'grazia del lavoro', che ha modellato fin dalle origini l’attività interna e socio-pastorale del movimento francescano, emergono ancora di più se si confrontano con le visioni dell’attività umana presenti e vigenti nel Medioevo, che interpretava il lavoro come 'condanna' e 'castigo'. Tale visione ha influenzato negativamente la civiltà fino alla seconda metà del secolo scorso. Francesco di Assisi introduce una concezione nuova: il lavoro come creatività, come grazia, come gioia e come rifiuto dell’ozio; il lavoro è grazia, il lavoro è un dono di amore, non coercizione e castigo. Il lavoro è dono di Dio all’uomo e chi riceve questo dono ('la grazia del lavoro') deve compierlo con 'fedeltà e devozione'. * Docente di Sociologia alla Pontificia Facoltà Teologica S. Bonaventura – Seraphicum (Roma)
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