
Rocce di niobio: è già il secondo metallo più esportato dal Brasile - .
Il niobio. Farebbe fatica uno studente di chimica al liceo a sapere di cosa si tratta, figuriamoci chi la tabella degli elementi non la legge da decenni. Eppure, questo metallo è il nuovo ingrediente “magico” della transizione energetica. Cioè dell’economia del presente e del futuro, a livello planetario. Il nuovo oro, il nuovo petrolio, chiamatelo come volete, ma meglio ancora sarebbe il nuovo litio, poiché l'ambito di applicazione del niobio (in breve Nb, numero atomico 41) è lo stesso: le batterie delle auto elettriche. Se già il litio garantiva una buona durata, col niobio la vita delle batterie può allungarsi fino a 10mila cicli e i tempi di ricarica ridursi fino a 5 minuti appena. Una rivoluzione che ha già innescato la corsa ad accaparrarsi le riserve di questo elemento piuttosto raro e dalle caratteristiche uniche, la maggior parte delle quali si trovano in Brasile. Unico svantaggio: il prezzo, per ora molto più alto rispetto alla grafite.
In pole position c’è la Cina, che, come è noto, si sta costruendo una corsia preferenziale in Sudamerica, in particolare nel Paese lusofono che è il suo partner di riferimento per le materie prime, alimentari (carne bovina, caffè, etc) ed energetiche. Lo Stato più esteso dell’America Latina è ricco di entrambe e da secoli le grandi potenze vi fanno shopping, dall’oro allo zucchero, dal cacao alla soia fino al petrolio, tirando la giacca del presidente di turno (oggi Lula) per avere un posto in prima fila. Lo scorso novembre Pechino ha investito 2 miliardi di reais in Amazzonia per una miniera di stagno, tantalio e appunto niobio, prezioso anche per l’industria spaziale, per la costruzione di razzi e satelliti.
Secondo le stime, il giacimento a 100 km da Manaus contiene riserve per un secolo. Oltre alla Cina non ci sono tanto gli Stati Uniti, che non esercitano più l'influenza di una volta sulla parte Sud del continente e che con la “dottrina Trump” dovrebbero riorientarsi sul fossile, quanto le nuove economie forti, rappresentate dai Brics e in questo caso soprattutto dal mondo arabo. Freschissimo infatti l’accordo firmato dal governo brasiliano con gli Emirati Arabi, per un valore complessivo di 15 miliardi di reais, circa 2,5 miliardi di euro, che include tutti i minerali strategici: niobio ma pure litio, nichel, rame, silicio e terre rare.
Chi si è portato avanti è anche la britannica Echion Technologies, nata nei laboratori di ingegneria dell’Università di Cambridge, che insieme alla brasiliana CBMM (che ha una quota dell’80% del mercato globale del niobio) ha inaugurato ad Araxà il primo stabilimento di produzione di massa di materiali anodici attivi ad alta percentuale di niobio, puntando a produrre 2.000 tonnellate all’anno di questo materiale. Ad Araxà, nello Stato brasiliano di Minas Gerais, vuole essere della partita anche l’Australia, che sul mercato minerario ha un ruolo da protagonista: è il primo produttore al mondo di litio, davanti proprio al Sudamerica. È notizia di pochi giorni fa che l’azienda St George vorrebbe estrarre litio in Brasile, a partire dal 2027, pestando i piedi alla CBMM.
Il rischio, dal punto di vista del Brasile, è di ridursi come già successo altre volte a esportatore di materie prime, perdendo il treno dello sviluppo tecnologico domestico e della reindustrializzazione, come fa notare Fatih Birol, direttore esecutivo dell’agenzia internazionale dell’Energia: «Vendere è bello, ma sarebbe meglio se i minerali fossero processati per produrre batterie o altro direttamente nei Paesi che li estraggono». E l’Europa di Ursula Von der Leyen? Al momento non ha una strategia definita, e così rischia di accumulare ritardo competitivo come si è già visto in altri ambiti, ad esempio con Starlink per la connessione Internet via satellite a bassa quota. Eppure il Green new deal imporrebbe di fare mosse in questo senso e l’accordo Ue-Mercosur, faticosamente firmato lo scorso dicembre, dovrebbe agevolare anche questo tipo di scambi. Vedremo.